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Dante - Paradiso

La Divina Commedia di Dante: Inferno

La Divina Commedia di Dante: Purgatorio

La Divina Commedia di Dante: Paradiso

LA DIVINA COMMEDIA

DI DANTE ALIGHIERI


CANTICA III: PARADISO



La Divina Commedia
di Dante Alighieri




PARADISO


Paradiso: Canto I


La gloria di colui che tutto move

per l'universo penetra, e risplende
in una parte piu` e meno altrove.

Nel ciel che piu` de la sua luce prende

fu' io, e vidi cose che ridire
ne' sa ne' puo` chi di la` su` discende;

perche' appressando se' al suo disire,

nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non puo` ire.

Veramente quant'io del regno santo

ne la mia mente potei far tesoro,
sara` ora materia del mio canto.

O
buono Appollo, a l'ultimo lavoro
fammi del tuo valor si` fatto vaso, come dimandi a dar l'amato alloro.

Infino a qui l'un giogo di Parnaso

assai mi fu; ma or con amendue
m'e` uopo intrar ne l'aringo rimaso.

Entra nel petto mio, e spira tue

si` come quando Marsia traesti
de la vagina de le membra sue.

O
divina virtu`, se mi ti presti
tanto che l'ombra del beato regno segnata nel mio capo io manifesti,

vedra'mi al pie` del tuo diletto legno

venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno.

Si` rade volte, padre, se ne coglie

per triunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de l'umane voglie,

che parturir letizia in su la lieta

delfica deita` dovria la fronda
peneia, quando alcun di se' asseta.

Poca favilla gran fiamma seconda:

forse di retro a me con miglior voci
si preghera` perche' Cirra risponda.

Surge ai mortali per diverse foci

la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,

con miglior corso e con migliore stella

esce congiunta, e la mondana cera
piu` a suo modo tempera e suggella.

Fatto avea di la` mane e di qua sera

tal foce, e quasi tutto era la` bianco quello emisperio, e l'altra parte nera,

quando Beatrice in sul sinistro fianco

vidi rivolta e riguardar nel sole:
aquila si` non li s'affisse unquanco.

E
si` come secondo raggio suole
uscir del primo e risalire in suso, pur come pelegrin che tornar vuole,

cosi` de l'atto suo, per li occhi infuso

ne l'imagine mia, il mio si fece,
e fissi li occhi al sole oltre nostr'uso.

Molto e` licito la`, che qui non lece

a le nostre virtu`, merce' del loco
fatto per proprio de l'umana spece.

Io nol soffersi molto, ne' si` poco,

ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,
com'ferro che bogliente esce del foco;

e
di subito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote avesse il ciel d'un altro sole addorno.

Beatrice tutta ne l'etterne rote

fissa con li occhi stava; e io in lei
le luci fissi, di la` su` rimote.

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,

qual si fe' Glauco nel gustar de l'erba che 'l fe' consorto in mar de li altri dei.

Trasumanar significar per verba

non si poria; pero` l'essemplo basti
a cui esperienza grazia serba.

S'i' era sol di me quel che creasti

novellamente, amor che 'l ciel governi, tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti.

Quando la rota che tu sempiterni

desiderato, a se' mi fece atteso
con l'armonia che temperi e discerni,

parvemi tanto allor del cielo acceso

de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso.

La novita` del suono e 'l grande lume

di lor cagion m'accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume.

Ond'ella, che vedea me si` com'io,

a quietarmi l'animo commosso,
pria ch'io a dimandar, la bocca aprio,

e
comincio`: <<Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar, si` che non vedi cio` che vedresti se l'avessi scosso.

Tu non se' in terra, si` come tu credi;

ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse come tu ch'ad esso riedi>>.

S'io fui del primo dubbio disvestito

per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo piu` fu' inretito,

e
dissi: <<Gia` contento requievi
di grande ammirazion; ma ora ammiro com'io trascenda questi corpi levi>>.

Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,

li occhi drizzo` ver' me con quel sembiante che madre fa sovra figlio deliro,

e
comincio`: <<Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo e` forma che l'universo a Dio fa simigliante.

Qui veggion l'alte creature l'orma

de l'etterno valore, il qual e` fine
al quale e` fatta la toccata norma.

Ne l'ordine ch'io dico sono accline

tutte nature, per diverse sorti,
piu` al principio loro e men vicine;

onde si muovono a diversi porti

per lo gran mar de l'essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti.

Questi ne porta il foco inver' la luna;

questi ne' cor mortali e` permotore;
questi la terra in se' stringe e aduna;

ne' pur le creature che son fore

d'intelligenza quest'arco saetta
ma quelle c'hanno intelletto e amore.

La provedenza, che cotanto assetta,

del suo lume fa 'l ciel sempre quieto
nel qual si volge quel c'ha maggior fretta;

e
ora li`, come a sito decreto,
cen porta la virtu` di quella corda che cio` che scocca drizza in segno lieto.

Vero e` che, come forma non s'accorda

molte fiate a l'intenzion de l'arte,
perch'a risponder la materia e` sorda,

cosi` da questo corso si diparte

talor la creatura, c'ha podere
di piegar, cosi` pinta, in altra parte;

e
si` come veder si puo` cadere
foco di nube, si` l'impeto primo l'atterra torto da falso piacere.

Non dei piu` ammirar, se bene stimo,

lo tuo salir, se non come d'un rivo
se d'alto monte scende giuso ad imo.

Maraviglia sarebbe in te se, privo

d'impedimento, giu` ti fossi assiso,
com'a terra quiete in foco vivo>>.

Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.


Paradiso: Canto II


O
voi che siete in piccioletta barca,
desiderosi d'ascoltar, seguiti dietro al mio legno che cantando varca,

tornate a riveder li vostri liti:

non vi mettete in pelago, che' forse,
perdendo me, rimarreste smarriti.

L'acqua ch'io prendo gia` mai non si corse;

Minerva spira, e conducemi Appollo,
e nove Muse mi dimostran l'Orse.

Voialtri pochi che drizzaste il collo

per tempo al pan de li angeli, del quale vivesi qui ma non sen vien satollo,

metter potete ben per l'alto sale

vostro navigio, servando mio solco
dinanzi a l'acqua che ritorna equale.

Que' gloriosi che passaro al Colco

non s'ammiraron come voi farete,
quando Iason vider fatto bifolco.

La concreata e perpetua sete

del deiforme regno cen portava
veloci quasi come 'l ciel vedete.

Beatrice in suso, e io in lei guardava;

e forse in tanto in quanto un quadrel posa e vola e da la noce si dischiava,

giunto mi vidi ove mirabil cosa

mi torse il viso a se'; e pero` quella cui non potea mia cura essere ascosa,

volta ver' me, si` lieta come bella,

<<Drizza la mente in Dio grata>>, mi disse, <<che n'ha congiunti con la prima stella>>.

Parev'a me che nube ne coprisse

lucida, spessa, solida e pulita,
quasi adamante che lo sol ferisse.

Per entro se' l'etterna margarita

ne ricevette, com'acqua recepe
raggio di luce permanendo unita.

S'io era corpo, e qui non si concepe

com'una dimensione altra patio,
ch'esser convien se corpo in corpo repe,

accender ne dovria piu` il disio

di veder quella essenza in che si vede come nostra natura e Dio s'unio.

Li` si vedra` cio` che tenem per fede,

non dimostrato, ma fia per se' noto
a guisa del ver primo che l'uom crede.

Io rispuosi
<<Madonna, si` devoto com'esser posso piu`, ringrazio lui lo qual dal mortal mondo m'ha remoto.
Ma ditemi
che son li segni bui
di questo corpo, che la` giuso in terra fan di Cain favoleggiare altrui?>>.

Ella sorrise alquanto, e poi <<S'elli erra

l'oppinion>>, mi disse, <<d'i mortali dove chiave di senso non diserra,

certo non ti dovrien punger li strali

d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi vedi che la ragione ha corte l'ali.

Ma dimmi quel che tu da te ne pensi>>.

E io: <<Cio` che n'appar qua su` diverso credo che fanno i corpi rari e densi>>.

Ed ella
<<Certo assai vedrai sommerso nel falso il creder tuo, se bene ascolti l'argomentar ch'io li faro` avverso.

La spera ottava vi dimostra molti

lumi, li quali e nel quale e nel quanto notar si posson di diversi volti.

Se raro e denso cio` facesser tanto,

una sola virtu` sarebbe in tutti,
piu` e men distributa e altrettanto.

Virtu` diverse esser convegnon frutti

di principi formali, e quei, for ch'uno, seguiterieno a tua ragion distrutti.

Ancor, se raro fosse di quel bruno

cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte fora di sua materia si` digiuno

esto pianeto, o, si` come comparte

lo grasso e 'l magro un corpo, cosi` questo nel suo volume cangerebbe carte.

Se 'l primo fosse, fora manifesto

ne l'eclissi del sol per trasparere
lo lume come in altro raro ingesto.

Questo non e`
pero` e` da vedere
de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi, falsificato fia lo tuo parere.

S'elli e` che questo raro non trapassi,

esser conviene un termine da onde
lo suo contrario piu` passar non lassi;

e
indi l'altrui raggio si rifonde
cosi` come color torna per vetro lo qual di retro a se' piombo nasconde.

Or dirai tu ch'el si dimostra tetro

ivi lo raggio piu` che in altre parti, per esser li` refratto piu` a retro.

Da questa instanza puo` deliberarti

esperienza, se gia` mai la provi,
ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti.

Tre specchi prenderai; e i due rimovi

da te d'un modo, e l'altro, piu` rimosso, tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.

Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso

ti stea un lume che i tre specchi accenda e torni a te da tutti ripercosso.

Ben che nel quanto tanto non si stenda

la vista piu` lontana, li` vedrai
come convien ch'igualmente risplenda.

Or, come ai colpi de li caldi rai

de la neve riman nudo il suggetto
e dal colore e dal freddo primai,

cosi` rimaso te ne l'intelletto

voglio informar di luce si` vivace,
che ti tremolera` nel suo aspetto.

Dentro dal ciel de la divina pace

si gira un corpo ne la cui virtute
l'esser di tutto suo contento giace.

Lo ciel seguente, c'ha tante vedute,

quell'esser parte per diverse essenze, da lui distratte e da lui contenute.

Li altri giron per varie differenze

le distinzion che dentro da se' hanno
dispongono a lor fini e lor semenze.

Questi organi del mondo cosi` vanno,

come tu vedi omai, di grado in grado,
che di su` prendono e di sotto fanno.

Riguarda bene omai si` com'io vado

per questo loco al vero che disiri,
si` che poi sappi sol tener lo guado.

Lo moto e la virtu` d'i santi giri,

come dal fabbro l'arte del martello,
da' beati motor convien che spiri;

e
'l ciel cui tanti lumi fanno bello,
de la mente profonda che lui volve prende l'image e fassene suggello.
E
come l'alma dentro a vostra polve
per differenti membra e conformate a diverse potenze si risolve,

cosi` l'intelligenza sua bontate

multiplicata per le stelle spiega,
girando se' sovra sua unitate.

Virtu` diversa fa diversa lega

col prezioso corpo ch'ella avviva,
nel qual, si` come vita in voi, si lega.

Per la natura lieta onde deriva,

la virtu` mista per lo corpo luce
come letizia per pupilla viva.

Da essa vien cio` che da luce a luce

par differente, non da denso e raro;
essa e` formal principio che produce,

conforme a sua bonta`, lo turbo e 'l chiaro>>.


Paradiso: Canto III


Quel sol che pria d'amor mi scaldo` 'l petto,

di bella verita` m'avea scoverto,
provando e riprovando, il dolce aspetto;

e
io, per confessar corretto e certo
me stesso, tanto quanto si convenne leva' il capo a proferer piu` erto;

ma visione apparve che ritenne

a se' me tanto stretto, per vedersi,
che di mia confession non mi sovvenne.

Quali per vetri trasparenti e tersi,

  • ver per acque nitide e tranquille, non si` profonde che i fondi sien persi,

tornan d'i nostri visi le postille

debili si`, che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille;

tali vid'io piu` facce a parlar pronte;

per ch'io dentro a l'error contrario corsi a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte.

Subito si` com'io di lor m'accorsi,

quelle stimando specchiati sembianti,
per veder di cui fosser, li occhi torsi;

e
nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume de la dolce guida, che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.

<<Non ti maravigliar perch'io sorrida>>,

mi disse, <<appresso il tuo pueril coto, poi sopra 'l vero ancor lo pie` non fida,

ma te rivolve, come suole, a voto:

vere sustanze son cio` che tu vedi,
qui rilegate per manco di voto.

Pero` parla con esse e odi e credi;

che' la verace luce che li appaga
da se' non lascia lor torcer li piedi>>.

E
io a l'ombra che parea piu` vaga
di ragionar, drizza'mi, e cominciai, quasi com'uom cui troppa voglia smaga:

<<O ben creato spirito, che a' rai

di vita etterna la dolcezza senti
che, non gustata, non s'intende mai,

grazioso mi fia se mi contenti

del nome tuo e de la vostra sorte>>. Ond'ella, pronta e con occhi ridenti:

<<La nostra carita` non serra porte

a giusta voglia, se non come quella
che vuol simile a se' tutta sua corte.

I' fui nel mondo vergine sorella;

e se la mente tua ben se' riguarda,
non mi ti celera` l'esser piu` bella,

ma riconoscerai ch'i' son Piccarda,

che, posta qui con questi altri beati, beata sono in la spera piu` tarda.

Li nostri affetti, che solo infiammati

son nel piacer de lo Spirito Santo,
letizian del suo ordine formati.

E
questa sorte che par giu` cotanto,
pero` n'e` data, perche' fuor negletti li nostri voti, e voti in alcun canto>>.
Ond'io a lei
<<Ne' mirabili aspetti vostri risplende non so che divino che vi trasmuta da' primi concetti:

pero` non fui a rimembrar festino;

ma or m'aiuta cio` che tu mi dici,
si` che raffigurar m'e` piu` latino.

Ma dimmi
voi che siete qui felici,
disiderate voi piu` alto loco per piu` vedere e per piu` farvi amici?>>.

Con quelle altr'ombre pria sorrise un poco;

da indi mi rispuose tanto lieta,
ch'arder parea d'amor nel primo foco:

<<Frate, la nostra volonta` quieta

virtu` di carita`, che fa volerne
sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.

Se disiassimo esser piu` superne,

foran discordi li nostri disiri
dal voler di colui che qui ne cerne;

che vedrai non capere in questi giri,

s'essere in carita` e` qui necesse,
e se la sua natura ben rimiri.

Anzi e` formale ad esto beato esse

tenersi dentro a la divina voglia,
per ch'una fansi nostre voglie stesse;

si` che, come noi sem di soglia in soglia

per questo regno, a tutto il regno piace com'a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia.

E
'n la sua volontade e` nostra pace:
ell'e` quel mare al qual tutto si move cio` ch'ella cria o che natura face>>.

Chiaro mi fu allor come ogne dove

in cielo e` paradiso, etsi la grazia
del sommo ben d'un modo non vi piove.

Ma si` com'elli avvien, s'un cibo sazia

e d'un altro rimane ancor la gola,
che quel si chere e di quel si ringrazia,

cosi` fec'io con atto e con parola,

per apprender da lei qual fu la tela
onde non trasse infino a co la spuola.

<<Perfetta vita e alto merto inciela

donna piu` su`>>, mi disse, <<a la cui norma nel vostro mondo giu` si veste e vela,

perche' fino al morir si vegghi e dorma

con quello sposo ch'ogne voto accetta
che caritate a suo piacer conforma.

Dal mondo, per seguirla, giovinetta

fuggi'mi, e nel suo abito mi chiusi
e promisi la via de la sua setta.

Uomini poi, a mal piu` ch'a bene usi,

fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi.

E
quest'altro splendor che ti si mostra
da la mia destra parte e che s'accende di tutto il lume de la spera nostra,

cio` ch'io dico di me, di se' intende;

sorella fu, e cosi` le fu tolta
di capo l'ombra de le sacre bende.

Ma poi che pur al mondo fu rivolta

contra suo grado e contra buona usanza, non fu dal vel del cor gia` mai disciolta.

Quest'e` la luce de la gran Costanza

che del secondo vento di Soave
genero` 'l terzo e l'ultima possanza>>.

Cosi` parlommi, e poi comincio` 'Ave,

Maria' cantando, e cantando vanio
come per acqua cupa cosa grave.

La vista mia, che tanto lei seguio

quanto possibil fu, poi che la perse,
volsesi al segno di maggior disio,

e
a Beatrice tutta si converse;
ma quella folgoro` nel mio sguardo si` che da prima il viso non sofferse;

e cio` mi fece a dimandar piu` tardo.


Paradiso: Canto IV


Intra due cibi, distanti e moventi

d'un modo, prima si morria di fame,
che liber'omo l'un recasse ai denti;

si` si starebbe un agno intra due brame

di fieri lupi, igualmente temendo;
si` si starebbe un cane intra due dame:

per che, s'i' mi tacea, me non riprendo,

da li miei dubbi d'un modo sospinto,
poi ch'era necessario, ne' commendo.

Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto

m'era nel viso, e 'l dimandar con ello, piu` caldo assai che per parlar distinto.

Fe' si` Beatrice qual fe' Daniello,

Nabuccodonosor levando d'ira,
che l'avea fatto ingiustamente fello;

e
disse: <<Io veggio ben come ti tira uno e altro disio, si` che tua cura se' stessa lega si` che fuor non spira.
Tu argomenti
"Se 'l buon voler dura,
la violenza altrui per qual ragione di meritar mi scema la misura?".

Ancor di dubitar ti da` cagione

parer tornarsi l'anime a le stelle,
secondo la sentenza di Platone.

Queste son le question che nel tuo velle

pontano igualmente; e pero` pria
trattero` quella che piu` ha di felle.

D'i Serafin colui che piu` s'india,

Moise`, Samuel, e quel Giovanni
che prender vuoli, io dico, non Maria,

non hanno in altro cielo i loro scanni

che questi spirti che mo t'appariro,
ne' hanno a l'esser lor piu` o meno anni;

ma tutti fanno bello il primo giro,

e differentemente han dolce vita
per sentir piu` e men l'etterno spiro.

Qui si mostraro, non perche' sortita

sia questa spera lor, ma per far segno de la celestial c'ha men salita.

Cosi` parlar conviensi al vostro ingegno,

pero` che solo da sensato apprende
cio` che fa poscia d'intelletto degno.

Per questo la Scrittura condescende

a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio, e altro intende;

e
Santa Chiesa con aspetto umano
Gabriel e Michel vi rappresenta, e l'altro che Tobia rifece sano.

Quel che Timeo de l'anime argomenta

non e` simile a cio` che qui si vede,
pero` che, come dice, par che senta.

Dice che l'alma a la sua stella riede,

credendo quella quindi esser decisa
quando natura per forma la diede;

e
forse sua sentenza e` d'altra guisa
che la voce non suona, ed esser puote con intenzion da non esser derisa.

S'elli intende tornare a queste ruote

l'onor de la influenza e 'l biasmo, forse in alcun vero suo arco percuote.

Questo principio, male inteso, torse

gia` tutto il mondo quasi, si` che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse.

L'altra dubitazion che ti commove

ha men velen, pero` che sua malizia
non ti poria menar da me altrove.

Parere ingiusta la nostra giustizia

ne li occhi d'i mortali, e` argomento
di fede e non d'eretica nequizia.

Ma perche' puote vostro accorgimento

ben penetrare a questa veritate,
come disiri, ti faro` contento.

Se violenza e` quando quel che pate

niente conferisce a quel che sforza,
non fuor quest'alme per essa scusate;

che' volonta`, se non vuol, non s'ammorza,

ma fa come natura face in foco,
se mille volte violenza il torza.

Per che, s'ella si piega assai o poco,

segue la forza; e cosi` queste fero
possendo rifuggir nel santo loco.

Se fosse stato lor volere intero,

come tenne Lorenzo in su la grada,
e fece Muzio a la sua man severo,

cosi` l'avria ripinte per la strada

ond'eran tratte, come fuoro sciolte;
ma cosi` salda voglia e` troppo rada.

E
per queste parole, se ricolte
l'hai come dei, e` l'argomento casso che t'avria fatto noia ancor piu` volte.

Ma or ti s'attraversa un altro passo

dinanzi a li occhi, tal che per te stesso non usciresti: pria saresti lasso.

Io t'ho per certo ne la mente messo

ch'alma beata non poria mentire,
pero` ch'e` sempre al primo vero appresso;

e
poi potesti da Piccarda udire
che l'affezion del vel Costanza tenne; si` ch'ella par qui meco contradire.

Molte fiate gia`, frate, addivenne

che, per fuggir periglio, contra grato si fe' di quel che far non si convenne;

come Almeone, che, di cio` pregato

dal padre suo, la propria madre spense, per non perder pieta`, si fe' spietato.

A
questo punto voglio che tu pense
che la forza al voler si mischia, e fanno si` che scusar non si posson l'offense.

Voglia assoluta non consente al danno;

ma consentevi in tanto in quanto teme, se si ritrae, cadere in piu` affanno.

Pero`, quando Piccarda quello spreme,

de la voglia assoluta intende, e io
de l'altra; si` che ver diciamo insieme>>.

Cotal fu l'ondeggiar del santo rio

ch'usci` del fonte ond'ogne ver deriva; tal puose in pace uno e altro disio.

<<O amanza del primo amante, o diva>>,

diss'io appresso, <<il cui parlar m'inonda e scalda si`, che piu` e piu` m'avviva,

non e` l'affezion mia tanto profonda,

che basti a render voi grazia per grazia; ma quei che vede e puote a cio` risponda.

Io veggio ben che gia` mai non si sazia

nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra di fuor dal qual nessun vero si spazia.

Posasi in esso, come fera in lustra,

tosto che giunto l'ha; e giugner puollo: se non, ciascun disio sarebbe frustra.

Nasce per quello, a guisa di rampollo,

a pie` del vero il dubbio; ed e` natura ch'al sommo pinge noi di collo in collo.

Questo m'invita, questo m'assicura

con reverenza, donna, a dimandarvi
d'un'altra verita` che m'e` oscura.

Io vo' saper se l'uom puo` sodisfarvi

ai voti manchi si` con altri beni,
ch'a la vostra statera non sien parvi>>.

Beatrice mi guardo` con li occhi pieni

di faville d'amor cosi` divini,
che, vinta, mia virtute die` le reni,

e quasi mi perdei con li occhi chini.


Paradiso: Canto V


<<S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore

di la` dal modo che 'n terra si vede,
si` che del viso tuo vinco il valore,

non ti maravigliar; che' cio` procede

da perfetto veder, che, come apprende, cosi` nel bene appreso move il piede.

Io veggio ben si` come gia` resplende

ne l'intelletto tuo l'etterna luce,
che, vista, sola e sempre amore accende;

e
s'altra cosa vostro amor seduce,
non e` se non di quella alcun vestigio, mal conosciuto, che quivi traluce.

Tu vuo' saper se con altro servigio,

per manco voto, si puo` render tanto
che l'anima sicuri di letigio>>.

Si` comincio` Beatrice questo canto;

e si` com'uom che suo parlar non spezza, continuo` cosi` 'l processo santo:

<<Lo maggior don che Dio per sua larghezza

fesse creando, e a la sua bontate
piu` conformato, e quel ch'e' piu` apprezza,

fu de la volonta` la libertate;

di che le creature intelligenti,
e tutte e sole, fuoro e son dotate.

Or ti parra`, se tu quinci argomenti,

l'alto valor del voto, s'e` si` fatto
che Dio consenta quando tu consenti;

che', nel fermar tra Dio e l'uomo il patto,

vittima fassi di questo tesoro,
tal quale io dico; e fassi col suo atto.

Dunque che render puossi per ristoro?

Se credi bene usar quel c'hai offerto, di maltolletto vuo' far buon lavoro.

Tu se' omai del maggior punto certo;

ma perche' Santa Chiesa in cio` dispensa, che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto,

convienti ancor sedere un poco a mensa,

pero` che 'l cibo rigido c'hai preso,
richiede ancora aiuto a tua dispensa.

Apri la mente a quel ch'io ti paleso

e fermalvi entro; che' non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso.

Due cose si convegnono a l'essenza

di questo sacrificio: l'una e` quella
di che si fa; l'altr'e` la convenenza.

Quest'ultima gia` mai non si cancella

se non servata; e intorno di lei
si` preciso di sopra si favella:

pero` necessitato fu a li Ebrei

pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta si` permutasse, come saver dei.

L'altra, che per materia t'e` aperta,

puote ben esser tal, che non si falla
se con altra materia si converta.

Ma non trasmuti carco a la sua spalla

per suo arbitrio alcun, sanza la volta e de la chiave bianca e de la gialla;

e
ogne permutanza credi stolta,
se la cosa dimessa in la sorpresa come 'l quattro nel sei non e` raccolta.

Pero` qualunque cosa tanto pesa

per suo valor che tragga ogne bilancia, sodisfar non si puo` con altra spesa.

Non prendan li mortali il voto a ciancia;

siate fedeli, e a cio` far non bieci,
come Iepte` a la sua prima mancia;

cui piu` si convenia dicer 'Mal feci',

che, servando, far peggio; e cosi` stolto ritrovar puoi il gran duca de' Greci,

onde pianse Efigenia il suo bel volto,

e fe' pianger di se' i folli e i savi
ch'udir parlar di cosi` fatto colto.

Siate, Cristiani, a muovervi piu` gravi:

non siate come penna ad ogne vento,
e non crediate ch'ogne acqua vi lavi.

Avete il novo e 'l vecchio Testamento,

e 'l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento.

Se mala cupidigia altro vi grida,

uomini siate, e non pecore matte,
si` che 'l Giudeo di voi tra voi non rida!

Non fate com'agnel che lascia il latte

de la sua madre, e semplice e lascivo
seco medesmo a suo piacer combatte!>>.

Cosi` Beatrice a me com'io scrivo;

poi si rivolse tutta disiante
a quella parte ove 'l mondo e` piu` vivo.

Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante

puoser silenzio al mio cupido ingegno, che gia` nuove questioni avea davante;

e
si` come saetta che nel segno
percuote pria che sia la corda queta, cosi` corremmo nel secondo regno.

Quivi la donna mia vid'io si` lieta,

come nel lume di quel ciel si mise,
che piu` lucente se ne fe' 'l pianeta.

E
se la stella si cambio` e rise,
qual mi fec'io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise!

Come 'n peschiera ch'e` tranquilla e pura

traggonsi i pesci a cio` che vien di fori per modo che lo stimin lor pastura,

si` vid'io ben piu` di mille splendori

trarsi ver' noi, e in ciascun s'udia:
<<Ecco chi crescera` li nostri amori>>.

E
si` come ciascuno a noi venia,
vedeasi l'ombra piena di letizia nel folgor chiaro che di lei uscia.

Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia

non procedesse, come tu avresti
di piu` savere angosciosa carizia;

e
per te vederai come da questi
m'era in disio d'udir lor condizioni, si` come a li occhi mi fur manifesti.

<<O bene nato a cui veder li troni

del triunfo etternal concede grazia
prima che la milizia s'abbandoni,

del lume che per tutto il ciel si spazia

noi semo accesi; e pero`, se disii
di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia>>.

Cosi` da un di quelli spirti pii

detto mi fu; e da Beatrice: <<Di`, di` sicuramente, e credi come a dii>>.

<<Io veggio ben si` come tu t'annidi

nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, perch'e' corusca si` come tu ridi;

ma non so chi tu se', ne' perche' aggi,

anima degna, il grado de la spera
che si vela a' mortai con altrui raggi>>.

Questo diss'io diritto alla lumera

che pria m'avea parlato; ond'ella fessi lucente piu` assai di quel ch'ell'era.

Si` come il sol che si cela elli stessi

per troppa luce, come 'l caldo ha rose le temperanze d'i vapori spessi,

per piu` letizia si` mi si nascose

dentro al suo raggio la figura santa;
e cosi` chiusa chiusa mi rispuose

nel modo che 'l seguente canto canta.


Paradiso: Canto VI


<<Poscia che Costantin l'aquila volse

contr'al corso del ciel, ch'ella seguio dietro a l'antico che Lavina tolse,

cento e cent'anni e piu` l'uccel di Dio

ne lo stremo d'Europa si ritenne,
vicino a' monti de' quai prima uscio;

e
sotto l'ombra de le sacre penne
governo` 'l mondo li` di mano in mano, e, si` cangiando, in su la mia pervenne.

Cesare fui e son Iustiniano,

che, per voler del primo amor ch'i' sento, d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano.

E
prima ch'io a l'ovra fossi attento,
una natura in Cristo esser, non piue, credea, e di tal fede era contento;

ma 'l benedetto Agapito, che fue

sommo pastore, a la fede sincera
mi dirizzo` con le parole sue.

Io li credetti; e cio` che 'n sua fede era,

vegg'io or chiaro si`, come tu vedi
ogni contradizione e falsa e vera.

Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,

a Dio per grazia piacque di spirarmi
l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi;

e
al mio Belisar commendai l'armi,
cui la destra del ciel fu si` congiunta, che segno fu ch'i' dovessi posarmi.

Or qui a la question prima s'appunta

la mia risposta; ma sua condizione
mi stringe a seguitare alcuna giunta,

perche' tu veggi con quanta ragione

si move contr'al sacrosanto segno
e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone.

Vedi quanta virtu` l'ha fatto degno

di reverenza; e comincio` da l'ora
che Pallante mori` per darli regno.

Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora

per trecento anni e oltre, infino al fine che i tre a' tre pugnar per lui ancora.

E
sai ch'el fe' dal mal de le Sabine
al dolor di Lucrezia in sette regi, vincendo intorno le genti vicine.

Sai quel ch'el fe' portato da li egregi

Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, incontro a li altri principi e collegi;

onde Torquato e Quinzio, che dal cirro

negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi
ebber la fama che volontier mirro.

Esso atterro` l'orgoglio de li Arabi

che di retro ad Annibale passaro
l'alpestre rocce, Po, di che tu labi.

Sott'esso giovanetti triunfaro

Scipione e Pompeo; e a quel colle
sotto 'l qual tu nascesti parve amaro.

Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle

redur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il tolle.

E
quel che fe' da Varo infino a Reno,
Isara vide ed Era e vide Senna e ogne valle onde Rodano e` pieno.

Quel che fe' poi ch'elli usci` di Ravenna

e salto` Rubicon, fu di tal volo,
che nol seguiteria lingua ne' penna.

Inver' la Spagna rivolse lo stuolo,

poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse
si` ch'al Nil caldo si senti` del duolo.

Antandro e Simeonta, onde si mosse,

rivide e la` dov'Ettore si cuba;
e mal per Tolomeo poscia si scosse.

Da indi scese folgorando a Iuba;

onde si volse nel vostro occidente,
ove sentia la pompeana tuba.

Di quel che fe' col baiulo seguente,

Bruto con Cassio ne l'inferno latra,
e Modena e Perugia fu dolente.

Piangene ancor la trista Cleopatra,

che, fuggendoli innanzi, dal colubro
la morte prese subitana e atra.

Con costui corse infino al lito rubro;

con costui puose il mondo in tanta pace, che fu serrato a Giano il suo delubro.

Ma cio` che 'l segno che parlar mi face

fatto avea prima e poi era fatturo
per lo regno mortal ch'a lui soggiace,

diventa in apparenza poco e scuro,

se in mano al terzo Cesare si mira
con occhio chiaro e con affetto puro;

che' la viva giustizia che mi spira,

li concedette, in mano a quel ch'i' dico, gloria di far vendetta a la sua ira.

Or qui t'ammira in cio` ch'io ti replico:

poscia con Tito a far vendetta corse
de la vendetta del peccato antico.

E
quando il dente longobardo morse
la Santa Chiesa, sotto le sue ali Carlo Magno, vincendo, la soccorse.

Omai puoi giudicar di quei cotali

ch'io accusai di sopra e di lor falli, che son cagion di tutti vostri mali.

L'uno al pubblico segno i gigli gialli

oppone, e l'altro appropria quello a parte, si` ch'e` forte a veder chi piu` si falli.

Faccian li Ghibellin, faccian lor arte

sott'altro segno; che' mal segue quello sempre chi la giustizia e lui diparte;

e
non l'abbatta esto Carlo novello
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli ch'a piu` alto leon trasser lo vello.

Molte fiate gia` pianser li figli

per la colpa del padre, e non si creda che Dio trasmuti l'arme per suoi gigli!

Questa picciola stella si correda

di buoni spirti che son stati attivi
perche' onore e fama li succeda:

e
quando li disiri poggian quivi,
si` disviando, pur convien che i raggi del vero amore in su` poggin men vivi.

Ma nel commensurar d'i nostri gaggi

col merto e` parte di nostra letizia,
perche' non li vedem minor ne' maggi.

Quindi addolcisce la viva giustizia

in noi l'affetto si`, che non si puote torcer gia` mai ad alcuna nequizia.

Diverse voci fanno dolci note;

cosi` diversi scanni in nostra vita
rendon dolce armonia tra queste rote.

E
dentro a la presente margarita
luce la luce di Romeo, di cui fu l'ovra grande e bella mal gradita.

Ma i Provenzai che fecer contra lui

non hanno riso; e pero` mal cammina
qual si fa danno del ben fare altrui.

Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,

Ramondo Beringhiere, e cio` li fece
Romeo, persona umile e peregrina.

E
poi il mosser le parole biece
a dimandar ragione a questo giusto, che li assegno` sette e cinque per diece,

indi partissi povero e vetusto;

e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe mendicando sua vita a frusto a frusto,

assai lo loda, e piu` lo loderebbe>>.


Paradiso: Canto VII


<<Osanna, sanctus Deus sabaoth,

superillustrans claritate tua
felices ignes horum malacoth!>>.

Cosi`, volgendosi a la nota sua,

fu viso a me cantare essa sustanza,
sopra la qual doppio lume s'addua:

ed essa e l'altre mossero a sua danza,

e quasi velocissime faville,
mi si velar di subita distanza.

Io dubitava e dicea 'Dille, dille!'

fra me, 'dille', dicea, 'a la mia donna che mi diseta con le dolci stille'.

Ma quella reverenza che s'indonna

di tutto me, pur per Be e per ice,
mi richinava come l'uom ch'assonna.

Poco sofferse me cotal Beatrice

e comincio`, raggiandomi d'un riso
tal, che nel foco faria l'uom felice:

<<Secondo mio infallibile avviso,

come giusta vendetta giustamente
punita fosse, t'ha in pensier miso;

ma io ti solvero` tosto la mente;

e tu ascolta, che' le mie parole
di gran sentenza ti faran presente.

Per non soffrire a la virtu` che vole

freno a suo prode, quell'uom che non nacque, dannando se', danno` tutta sua prole;

onde l'umana specie inferma giacque

giu` per secoli molti in grande errore, fin ch'al Verbo di Dio discender piacque

u' la natura, che dal suo fattore

s'era allungata, uni` a se' in persona con l'atto sol del suo etterno amore.

Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona:

questa natura al suo fattore unita,
qual fu creata, fu sincera e buona;

ma per se' stessa pur fu ella sbandita

di paradiso, pero` che si torse
da via di verita` e da sua vita.

La pena dunque che la croce porse

s'a la natura assunta si misura,
nulla gia` mai si` giustamente morse;

e
cosi` nulla fu di tanta ingiura,
guardando a la persona che sofferse, in che era contratta tal natura.

Pero` d'un atto uscir cose diverse:

ch'a Dio e a' Giudei piacque una morte; per lei tremo` la terra e 'l ciel s'aperse.

Non ti dee oramai parer piu` forte,

quando si dice che giusta vendetta
poscia vengiata fu da giusta corte.

Ma io veggi' or la tua mente ristretta

di pensiero in pensier dentro ad un nodo, del qual con gran disio solver s'aspetta.

Tu dici
"Ben discerno cio` ch'i' odo;
ma perche' Dio volesse, m'e` occulto, a nostra redenzion pur questo modo".

Questo decreto, frate, sta sepulto

a li occhi di ciascuno il cui ingegno
ne la fiamma d'amor non e` adulto.

Veramente, pero` ch'a questo segno

molto si mira e poco si discerne,
diro` perche' tal modo fu piu` degno.

La divina bonta`, che da se' sperne

ogne livore, ardendo in se', sfavilla
si` che dispiega le bellezze etterne.

Cio` che da lei sanza mezzo distilla

non ha poi fine, perche' non si move
la sua imprenta quand'ella sigilla.

Cio` che da essa sanza mezzo piove

libero e` tutto, perche' non soggiace
a la virtute de le cose nove.

Piu` l'e` conforme, e pero` piu` le piace;

che' l'ardor santo ch'ogne cosa raggia, ne la piu` somigliante e` piu` vivace.

Di tutte queste dote s'avvantaggia

l'umana creatura; e s'una manca,
di sua nobilita` convien che caggia.

Solo il peccato e` quel che la disfranca

e falla dissimile al sommo bene,
per che del lume suo poco s'imbianca;

e
in sua dignita` mai non rivene,
se non riempie, dove colpa vota, contra mal dilettar con giuste pene.

Vostra natura, quando pecco` tota

nel seme suo, da queste dignitadi,
come di paradiso, fu remota;

ne' ricovrar potiensi, se tu badi

ben sottilmente, per alcuna via,
sanza passar per un di questi guadi:

  • che Dio solo per sua cortesia dimesso avesse, o che l'uom per se' isso avesse sodisfatto a sua follia.

Ficca mo l'occhio per entro l'abisso

de l'etterno consiglio, quanto puoi
al mio parlar distrettamente fisso.

Non potea l'uomo ne' termini suoi

mai sodisfar, per non potere ir giuso
con umiltate obediendo poi,

quanto disobediendo intese ir suso;

e questa e` la cagion per che l'uom fue da poter sodisfar per se' dischiuso.

Dunque a Dio convenia con le vie sue

riparar l'omo a sua intera vita,
dico con l'una, o ver con amendue.

Ma perche' l'ovra tanto e` piu` gradita

da l'operante, quanto piu` appresenta
de la bonta` del core ond'ell'e` uscita,

la divina bonta` che 'l mondo imprenta,

di proceder per tutte le sue vie,
a rilevarvi suso, fu contenta.

Ne' tra l'ultima notte e 'l primo die

si` alto o si` magnifico processo,

  • per l'una o per l'altra, fu o fie:

che' piu` largo fu Dio a dar se' stesso

per far l'uom sufficiente a rilevarsi, che s'elli avesse sol da se' dimesso;

e
tutti li altri modi erano scarsi
a la giustizia, se 'l Figliuol di Dio non fosse umiliato ad incarnarsi.

Or per empierti bene ogni disio,

ritorno a dichiararti in alcun loco,
perche' tu veggi li` cosi` com'io.

Tu dici
"Io veggio l'acqua, io veggio il foco, l'aere e la terra e tutte lor misture venire a corruzione, e durar poco;
e
queste cose pur furon creature;
per che, se cio` ch'e` detto e` stato vero, esser dovrien da corruzion sicure".

Li angeli, frate, e 'l paese sincero

nel qual tu se', dir si posson creati, si` come sono, in loro essere intero;

ma li elementi che tu hai nomati

e quelle cose che di lor si fanno
da creata virtu` sono informati.

Creata fu la materia ch'elli hanno;

creata fu la virtu` informante
in queste stelle che 'ntorno a lor vanno.

L'anima d'ogne bruto e de le piante

di complession potenziata tira
lo raggio e 'l moto de le luci sante;

ma vostra vita sanza mezzo spira

la somma beninanza, e la innamora
di se' si` che poi sempre la disira.

E
quinci puoi argomentare ancora
vostra resurrezion, se tu ripensi come l'umana carne fessi allora

che li primi parenti intrambo fensi>>.


Paradiso: Canto VIII


Solea creder lo mondo in suo periclo

che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo;

per che non pur a lei faceano onore

di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche ne l'antico errore;

ma Dione onoravano e Cupido,

quella per madre sua, questo per figlio, e dicean ch'el sedette in grembo a Dido;

e
da costei ond'io principio piglio
pigliavano il vocabol de la stella che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.

Io non m'accorsi del salire in ella;

ma d'esservi entro mi fe' assai fede
la donna mia ch'i' vidi far piu` bella.

E
come in fiamma favilla si vede,
e come in voce voce si discerne, quand'una e` ferma e altra va e riede,

vid'io in essa luce altre lucerne

muoversi in giro piu` e men correnti,
al modo, credo, di lor viste interne.

Di fredda nube non disceser venti,

  • visibili o no, tanto festini, che non paressero impediti e lenti
a
chi avesse quei lumi divini
veduti a noi venir, lasciando il giro pria cominciato in li alti Serafini;
e
dentro a quei che piu` innanzi appariro sonava 'Osanna' si`, che unque poi di riudir non fui sanza disiro.

Indi si fece l'un piu` presso a noi

e solo incomincio`: <<Tutti sem presti al tuo piacer, perche' di noi ti gioi.

Noi ci volgiam coi principi celesti

d'un giro e d'un girare e d'una sete,
ai quali tu del mondo gia` dicesti:

'Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete';

e sem si` pien d'amor, che, per piacerti, non fia men dolce un poco di quiete>>.

Poscia che li occhi miei si fuoro offerti

a la mia donna reverenti, ed essa
fatti li avea di se' contenti e certi,

rivolsersi a la luce che promessa

tanto s'avea, e <<Deh, chi siete?>> fue la voce mia di grande affetto impressa.

E
quanta e quale vid'io lei far piue
per allegrezza nova che s'accrebbe, quando parlai, a l'allegrezze sue!
Cosi` fatta, mi disse
<<Il mondo m'ebbe giu` poco tempo; e se piu` fosse stato, molto sara` di mal, che non sarebbe.

La mia letizia mi ti tien celato

che mi raggia dintorno e mi nasconde
quasi animal di sua seta fasciato.

Assai m'amasti, e avesti ben onde;

che s'io fossi giu` stato, io ti mostrava di mio amor piu` oltre che le fronde.

Quella sinistra riva che si lava

di Rodano poi ch'e` misto con Sorga,
per suo segnore a tempo m'aspettava,

e
quel corno d'Ausonia che s'imborga
di Bari e di Gaeta e di Catona da ove Tronto e Verde in mare sgorga.

Fulgeami gia` in fronte la corona

di quella terra che 'l Danubio riga
poi che le ripe tedesche abbandona.

E
la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo che riceve da Euro maggior briga,

non per Tifeo ma per nascente solfo,

attesi avrebbe li suoi regi ancora,
nati per me di Carlo e di Ridolfo,

se mala segnoria, che sempre accora

li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!".

E
se mio frate questo antivedesse,
l'avara poverta` di Catalogna gia` fuggeria, perche' non li offendesse;

che' veramente proveder bisogna

per lui, o per altrui, si` ch'a sua barca carcata piu` d'incarco non si pogna.

La sua natura, che di larga parca

discese, avria mestier di tal milizia
che non curasse di mettere in arca>>.

<<Pero` ch'i' credo che l'alta letizia

che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio, la` 've ogne ben si termina e s'inizia,

per te si veggia come la vegg'io,

grata m'e` piu`; e anco quest'ho caro
perche' 'l discerni rimirando in Dio.

Fatto m'hai lieto, e cosi` mi fa chiaro,

poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso com'esser puo`, di dolce seme, amaro>>.

Questo io a lui; ed elli a me
<<S'io posso mostrarti un vero, a quel che tu dimandi terrai lo viso come tien lo dosso.

Lo ben che tutto il regno che tu scandi

volge e contenta, fa esser virtute
sua provedenza in questi corpi grandi.

E
non pur le nature provedute
sono in la mente ch'e` da se' perfetta, ma esse insieme con la lor salute:

per che quantunque quest'arco saetta

disposto cade a proveduto fine,
si` come cosa in suo segno diretta.

Se cio` non fosse, il ciel che tu cammine

producerebbe si` li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine;

e
cio` esser non puo`, se li 'ntelletti
che muovon queste stelle non son manchi, e manco il primo, che non li ha perfetti.

Vuo' tu che questo ver piu` ti s'imbianchi?>>.

E io: <<Non gia`; che' impossibil veggio che la natura, in quel ch'e` uopo, stanchi>>.

Ond'elli ancora
<<Or di': sarebbe il peggio per l'omo in terra, se non fosse cive?>>. <<Si`>>, rispuos'io; <<e qui ragion non cheggio>>.

<<E puot'elli esser, se giu` non si vive

diversamente per diversi offici?
Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive>>.

Si` venne deducendo infino a quici;

poscia conchiuse: <<Dunque esser diverse convien di vostri effetti le radici:

per ch'un nasce Solone e altro Serse,

altro Melchisedech e altro quello
che, volando per l'aere, il figlio perse.

La circular natura, ch'e` suggello

a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l'un da l'altro ostello.

Quinci addivien ch'Esau` si diparte

per seme da Iacob; e vien Quirino
da si` vil padre, che si rende a Marte.

Natura generata il suo cammino

simil farebbe sempre a' generanti,
se non vincesse il proveder divino.

Or quel che t'era dietro t'e` davanti:

ma perche' sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t'ammanti.

Sempre natura, se fortuna trova

discorde a se', com'ogne altra semente fuor di sua region, fa mala prova.

E
se 'l mondo la` giu` ponesse mente
al fondamento che natura pone, seguendo lui, avria buona la gente.

Ma voi torcete a la religione

tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch'e` da sermone;

onde la traccia vostra e` fuor di strada>>.


Paradiso: Canto IX


Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,

m'ebbe chiarito, mi narro` li 'nganni
che ricever dovea la sua semenza;

ma disse
<<Taci e lascia muover li anni>>; si` ch'io non posso dir se non che pianto giusto verra` di retro ai vostri danni.
E
gia` la vita di quel lume santo
rivolta s'era al Sol che la riempie come quel ben ch'a ogne cosa e` tanto.

Ahi anime ingannate e fatture empie,

che da si` fatto ben torcete i cuori,
drizzando in vanita` le vostre tempie!

Ed ecco un altro di quelli splendori

ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi significava nel chiarir di fori.

Li occhi di Beatrice, ch'eran fermi

sovra me, come pria, di caro assenso
al mio disio certificato fermi.

<<Deh, metti al mio voler tosto compenso,

beato spirto>>, dissi, <<e fammi prova ch'i' possa in te refletter quel ch'io penso!>>.

Onde la luce che m'era ancor nova,

del suo profondo, ond'ella pria cantava, seguette come a cui di ben far giova:

<<In quella parte de la terra prava

italica che siede tra Rialto
e le fontane di Brenta e di Piava,

si leva un colle, e non surge molt'alto,

la` onde scese gia` una facella
che fece a la contrada un grande assalto.

D'una radice nacqui e io ed ella:

Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
perche' mi vinse il lume d'esta stella;

ma lietamente a me medesma indulgo

la cagion di mia sorte, e non mi noia; che parria forse forte al vostro vulgo.

Di questa luculenta e cara gioia

del nostro cielo che piu` m'e` propinqua, grande fama rimase; e pria che moia,

questo centesimo anno ancor s'incinqua:

vedi se far si dee l'omo eccellente,
si` ch'altra vita la prima relinqua.

E
cio` non pensa la turba presente
che Tagliamento e Adice richiude, ne' per esser battuta ancor si pente;

ma tosto fia che Padova al palude

cangera` l'acqua che Vincenza bagna,
per essere al dover le genti crude;

e
dove Sile e Cagnan s'accompagna,
tal signoreggia e va con la testa alta, che gia` per lui carpir si fa la ragna.

Piangera` Feltro ancora la difalta

de l'empio suo pastor, che sara` sconcia si`, che per simil non s'entro` in malta.

Troppo sarebbe larga la bigoncia

che ricevesse il sangue ferrarese,
e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia,

che donera` questo prete cortese

per mostrarsi di parte; e cotai doni
conformi fieno al viver del paese.

Su` sono specchi, voi dicete Troni,

onde refulge a noi Dio giudicante;
si` che questi parlar ne paion buoni>>.

Qui si tacette; e fecemi sembiante

che fosse ad altro volta, per la rota
in che si mise com'era davante.

L'altra letizia, che m'era gia` nota

per cara cosa, mi si fece in vista
qual fin balasso in che lo sol percuota.

Per letiziar la` su` fulgor s'acquista,

si` come riso qui; ma giu` s'abbuia
l'ombra di fuor, come la mente e` trista.

<<Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia>>,

diss'io, <<beato spirto, si` che nulla voglia di se' a te puot'esser fuia.

Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla

sempre col canto di quei fuochi pii
che di sei ali facen la coculla,

perche' non satisface a' miei disii?

Gia` non attendere' io tua dimanda,
s'io m'intuassi, come tu t'inmii>>.

<<La maggior valle in che l'acqua si spanda>>,

incominciaro allor le sue parole,
<<fuor di quel mar che la terra inghirlanda,

tra ' discordanti liti contra 'l sole

tanto sen va, che fa meridiano
la` dove l'orizzonte pria far suole.

Di quella valle fu' io litorano

tra Ebro e Macra, che per cammin corto parte lo Genovese dal Toscano.

Ad un occaso quasi e ad un orto

Buggea siede e la terra ond'io fui,
che fe' del sangue suo gia` caldo il porto.

Folco mi disse quella gente a cui

fu noto il nome mio; e questo cielo
di me s'imprenta, com'io fe' di lui;

che' piu` non arse la figlia di Belo,

noiando e a Sicheo e a Creusa,
di me, infin che si convenne al pelo;

ne' quella Rodopea che delusa

fu da Demofoonte, ne' Alcide
quando Iole nel core ebbe rinchiusa.

Non pero` qui si pente, ma si ride,

non de la colpa, ch'a mente non torna, ma del valor ch'ordino` e provide.

Qui si rimira ne l'arte ch'addorna

cotanto affetto, e discernesi 'l bene
per che 'l mondo di su` quel di giu` torna.

Ma perche' tutte le tue voglie piene

ten porti che son nate in questa spera, proceder ancor oltre mi convene.

Tu vuo' saper chi e` in questa lumera

che qui appresso me cosi` scintilla,
come raggio di sole in acqua mera.

Or sappi che la` entro si tranquilla

Raab; e a nostr'ordine congiunta,
di lei nel sommo grado si sigilla.

Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta

che 'l vostro mondo face, pria ch'altr'alma del triunfo di Cristo fu assunta.

Ben si convenne lei lasciar per palma

in alcun cielo de l'alta vittoria
che s'acquisto` con l'una e l'altra palma,

perch'ella favoro` la prima gloria

di Iosue` in su la Terra Santa,
che poco tocca al papa la memoria.

La tua citta`, che di colui e` pianta

che pria volse le spalle al suo fattore e di cui e` la 'nvidia tanto pianta,

produce e spande il maladetto fiore

c'ha disviate le pecore e li agni,
pero` che fatto ha lupo del pastore.

Per questo l'Evangelio e i dottor magni

son derelitti, e solo ai Decretali
si studia, si` che pare a' lor vivagni.

A
questo intende il papa e ' cardinali;
non vanno i lor pensieri a Nazarette, la` dove Gabriello aperse l'ali.

Ma Vaticano e l'altre parti elette

di Roma che son state cimitero
a la milizia che Pietro seguette,

tosto libere fien de l'avoltero>>.


Paradiso: Canto X


Guardando nel suo Figlio con l'Amore

che l'uno e l'altro etternalmente spira, lo primo e ineffabile Valore

quanto per mente e per loco si gira

con tant'ordine fe', ch'esser non puote sanza gustar di lui chi cio` rimira.

Leva dunque, lettore, a l'alte rote

meco la vista, dritto a quella parte
dove l'un moto e l'altro si percuote;

e
li` comincia a vagheggiar ne l'arte
di quel maestro che dentro a se' l'ama, tanto che mai da lei l'occhio non parte.

Vedi come da indi si dirama

l'oblico cerchio che i pianeti porta,
per sodisfare al mondo che li chiama.

Che se la strada lor non fosse torta,

molta virtu` nel ciel sarebbe in vano, e quasi ogne potenza qua giu` morta;

e
se dal dritto piu` o men lontano
fosse 'l partire, assai sarebbe manco e giu` e su` de l'ordine mondano.

Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco,

dietro pensando a cio` che si preliba, s'esser vuoi lieto assai prima che stanco.

Messo t'ho innanzi
omai per te ti ciba; che' a se' torce tutta la mia cura quella materia ond'io son fatto scriba.

Lo ministro maggior de la natura,

che del valor del ciel lo mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura,

con quella parte che su` si rammenta

congiunto, si girava per le spire
in che piu` tosto ognora s'appresenta;

e
io era con lui; ma del salire
non m'accors'io, se non com'uom s'accorge, anzi 'l primo pensier, del suo venire.

E' Beatrice quella che si` scorge

di bene in meglio, si` subitamente
che l'atto suo per tempo non si sporge.

Quant'esser convenia da se' lucente

quel ch'era dentro al sol dov'io entra'mi, non per color, ma per lume parvente!

Perch'io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami,

si` nol direi che mai s'imaginasse;
ma creder puossi e di veder si brami.

E
se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non e` maraviglia; che' sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse.

Tal era quivi la quarta famiglia

de l'alto Padre, che sempre la sazia,
mostrando come spira e come figlia.

E
Beatrice comincio`: <<Ringrazia, ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo sensibil t'ha levato per sua grazia>>.

Cor di mortal non fu mai si` digesto

a divozione e a rendersi a Dio
con tutto 'l suo gradir cotanto presto,

come a quelle parole mi fec'io;

e si` tutto 'l mio amore in lui si mise, che Beatrice eclisso` ne l'oblio.

Non le dispiacque; ma si` se ne rise,

che lo splendor de li occhi suoi ridenti mia mente unita in piu` cose divise.

Io vidi piu` folgor vivi e vincenti

far di noi centro e di se' far corona, piu` dolci in voce che in vista lucenti:

cosi` cinger la figlia di Latona

vedem talvolta, quando l'aere e` pregno, si` che ritenga il fil che fa la zona.

Ne la corte del cielo, ond'io rivegno,

si trovan molte gioie care e belle
tanto che non si posson trar del regno;

e
'l canto di quei lumi era di quelle;
chi non s'impenna si` che la` su` voli, dal muto aspetti quindi le novelle.

Poi, si` cantando, quelli ardenti soli

si fuor girati intorno a noi tre volte, come stelle vicine a' fermi poli,

donne mi parver, non da ballo sciolte,

ma che s'arrestin tacite, ascoltando
fin che le nove note hanno ricolte.

E
dentro a l'un senti' cominciar: <<Quando lo raggio de la grazia, onde s'accende verace amore e che poi cresce amando,

multiplicato in te tanto resplende,

che ti conduce su per quella scala
u' sanza risalir nessun discende;

qual ti negasse il vin de la sua fiala

per la tua sete, in liberta` non fora
se non com'acqua ch'al mar non si cala.

Tu vuo' saper di quai piante s'infiora

questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia la bella donna ch'al ciel t'avvalora.

Io fui de li agni de la santa greggia

che Domenico mena per cammino
u' ben s'impingua se non si vaneggia.

Questi che m'e` a destra piu` vicino,

frate e maestro fummi, ed esso Alberto e` di Cologna, e io Thomas d'Aquino.

Se si` di tutti li altri esser vuo' certo,

di retro al mio parlar ten vien col viso girando su per lo beato serto.

Quell'altro fiammeggiare esce del riso

di Grazian, che l'uno e l'altro foro
aiuto` si` che piace in paradiso.

L'altro ch'appresso addorna il nostro coro,

quel Pietro fu che con la poverella
offerse a Santa Chiesa suo tesoro.

La quinta luce, ch'e` tra noi piu` bella,

spira di tal amor, che tutto 'l mondo
la` giu` ne gola di saper novella:

entro v'e` l'alta mente u' si` profondo

saver fu messo, che, se 'l vero e` vero a veder tanto non surse il secondo.

Appresso vedi il lume di quel cero

che giu` in carne piu` a dentro vide
l'angelica natura e 'l ministero.

Ne l'altra piccioletta luce ride

quello avvocato de' tempi cristiani
del cui latino Augustin si provide.

Or se tu l'occhio de la mente trani

di luce in luce dietro a le mie lode,
gia` de l'ottava con sete rimani.

Per vedere ogni ben dentro vi gode

l'anima santa che 'l mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode.

Lo corpo ond'ella fu cacciata giace

giuso in Cieldauro; ed essa da martiro e da essilio venne a questa pace.

Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro

d'Isidoro, di Beda e di Riccardo,
che a considerar fu piu` che viro.

Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,

e` 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri gravi a morir li parve venir tardo:

essa e` la luce etterna di Sigieri,

che, leggendo nel Vico de li Strami,
silogizzo` invidiosi veri>>.

Indi, come orologio che ne chiami

ne l'ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perche' l'ami,

che l'una parte e l'altra tira e urge,

tin tin sonando con si` dolce nota,
che 'l ben disposto spirto d'amor turge;

cosi` vid'io la gloriosa rota

muoversi e render voce a voce in tempra e in dolcezza ch'esser non po` nota

se non cola` dove gioir s'insempra.


Paradiso: Canto XI


O
insensata cura de' mortali,
quanto son difettivi silogismi quei che ti fanno in basso batter l'ali!

Chi dietro a iura, e chi ad amforismi

sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi,

e
chi rubare, e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto s'affaticava e chi si dava a l'ozio,

quando, da tutte queste cose sciolto,

con Beatrice m'era suso in cielo
cotanto gloriosamente accolto.

Poi che ciascuno fu tornato ne lo

punto del cerchio in che avanti s'era, fermossi, come a candellier candelo.

E
io senti' dentro a quella lumera
che pria m'avea parlato, sorridendo incominciar, faccendosi piu` mera:

<<Cosi` com'io del suo raggio resplendo,

si`, riguardando ne la luce etterna,
li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.

Tu dubbi, e hai voler che si ricerna

in si` aperta e 'n si` distesa lingua
lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna,

ove dinanzi dissi "U' ben s'impingua",

e la` u' dissi "Non nacque il secondo"; e qui e` uopo che ben si distingua.

La provedenza, che governa il mondo

con quel consiglio nel quale ogne aspetto creato e` vinto pria che vada al fondo,

pero` che andasse ver' lo suo diletto

la sposa di colui ch'ad alte grida
disposo` lei col sangue benedetto,

in se' sicura e anche a lui piu` fida,

due principi ordino` in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.

L'un fu tutto serafico in ardore;

l'altro per sapienza in terra fue
di cherubica luce uno splendore.

De l'un diro`, pero` che d'amendue

si dice l'un pregiando, qual ch'om prende, perch'ad un fine fur l'opere sue.

Intra Tupino e l'acqua che discende

del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d'alto monte pende,

onde Perugia sente freddo e caldo

da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.

Di questa costa, la` dov'ella frange

piu` sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo tal volta di Gange.

Pero` chi d'esso loco fa parole,

non dica Ascesi, che' direbbe corto,
ma Oriente, se proprio dir vuole.

Non era ancor molto lontan da l'orto,

ch'el comincio` a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;

che' per tal donna, giovinetto, in guerra

del padre corse, a cui, come a la morte, la porta del piacer nessun diserra;

e
dinanzi a la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito; poscia di di` in di` l'amo` piu` forte.

Questa, privata del primo marito,

millecent'anni e piu` dispetta e scura fino a costui si stette sanza invito;

ne' valse udir che la trovo` sicura

con Amiclate, al suon de la sua voce,
colui ch'a tutto 'l mondo fe' paura;

ne' valse esser costante ne' feroce,

si` che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce.

Ma perch'io non proceda troppo chiuso,

Francesco e Poverta` per questi amanti prendi oramai nel mio parlar diffuso.

La lor concordia e i lor lieti sembianti,

amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;

tanto che 'l venerabile Bernardo

si scalzo` prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo.

Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!

Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, si` la sposa piace.

Indi sen va quel padre e quel maestro

con la sua donna e con quella famiglia che gia` legava l'umile capestro.

Ne' li gravo` vilta` di cuor le ciglia

per esser fi' di Pietro Bernardone,
ne' per parer dispetto a maraviglia;

ma regalmente sua dura intenzione

ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religione.

Poi che la gente poverella crebbe

dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe,

di seconda corona redimita

fu per Onorio da l'Etterno Spiro
la santa voglia d'esto archimandrita.

E
poi che, per la sete del martiro,
ne la presenza del Soldan superba predico` Cristo e li altri che 'l seguiro,
e
per trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno, redissi al frutto de l'italica erba,

nel crudo sasso intra Tevero e Arno

da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.

Quando a colui ch'a tanto ben sortillo

piacque di trarlo suso a la mercede
ch'el merito` nel suo farsi pusillo,

a' frati suoi, si` com'a giuste rede,

raccomando` la donna sua piu` cara,
e comando` che l'amassero a fede;

e
del suo grembo l'anima preclara
mover si volle, tornando al suo regno, e al suo corpo non volle altra bara.

Pensa oramai qual fu colui che degno

collega fu a mantener la barca
di Pietro in alto mar per dritto segno;

e
questo fu il nostro patriarca;
per che qual segue lui, com'el comanda, discerner puoi che buone merce carca.

Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda

e` fatto ghiotto, si` ch'esser non puote che per diversi salti non si spanda;

e
quanto le sue pecore remote
e vagabunde piu` da esso vanno, piu` tornano a l'ovil di latte vote.

Ben son di quelle che temono 'l danno

e stringonsi al pastor; ma son si` poche, che le cappe fornisce poco panno.

Or, se le mie parole non son fioche,

se la tua audienza e` stata attenta,
se cio` ch'e` detto a la mente revoche,

in parte fia la tua voglia contenta,

perche' vedrai la pianta onde si scheggia, e vedra' il corregger che argomenta

"U' ben s'impingua, se non si vaneggia">>.


Paradiso: Canto XII


Si` tosto come l'ultima parola

la benedetta fiamma per dir tolse,
a rotar comincio` la santa mola;

e
nel suo giro tutta non si volse
prima ch'un'altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse;

canto che tanto vince nostre muse,

nostre serene in quelle dolci tube,
quanto primo splendor quel ch'e' refuse.

Come si volgon per tenera nube

due archi paralelli e concolori,
quando Iunone a sua ancella iube,

nascendo di quel d'entro quel di fori,

a guisa del parlar di quella vaga
ch'amor consunse come sol vapori;

e
fanno qui la gente esser presaga,
per lo patto che Dio con Noe` puose, del mondo che gia` mai piu` non s'allaga:

cosi` di quelle sempiterne rose

volgiensi circa noi le due ghirlande,
e si` l'estrema a l'intima rispuose.

Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande,

si` del cantare e si` del fiammeggiarsi luce con luce gaudiose e blande,

insieme a punto e a voler quetarsi,

pur come li occhi ch'al piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi;

del cor de l'una de le luci nove

si mosse voce, che l'ago a la stella
parer mi fece in volgermi al suo dove;

e
comincio`: <<L'amor che mi fa bella mi tragge a ragionar de l'altro duca per cui del mio si` ben ci si favella.

Degno e` che, dov'e` l'un, l'altro s'induca:

si` che, com'elli ad una militaro,
cosi` la gloria loro insieme luca.

L'essercito di Cristo, che si` caro

costo` a riarmar, dietro a la 'nsegna
si movea tardo, sospeccioso e raro,

quando lo 'mperador che sempre regna

provide a la milizia, ch'era in forse, per sola grazia, non per esser degna;

e, come e` detto, a sua sposa soccorse

con due campioni, al cui fare, al cui dire lo popol disviato si raccorse.

In quella parte ove surge ad aprire

Zefiro dolce le novelle fronde
di che si vede Europa rivestire,

non molto lungi al percuoter de l'onde

dietro a le quali, per la lunga foga,
lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,

siede la fortunata Calaroga

sotto la protezion del grande scudo
in che soggiace il leone e soggioga:

dentro vi nacque l'amoroso drudo

de la fede cristiana, il santo atleta
benigno a' suoi e a' nemici crudo;

e
come fu creata, fu repleta
si` la sua mente di viva vertute, che, ne la madre, lei fece profeta.

Poi che le sponsalizie fuor compiute

al sacro fonte intra lui e la Fede,
u' si dotar di mutua salute,

la donna che per lui l'assenso diede,

vide nel sonno il mirabile frutto
ch'uscir dovea di lui e de le rede;

e
perche' fosse qual era in costrutto,
quinci si mosse spirito a nomarlo del possessivo di cui era tutto.

Domenico fu detto; e io ne parlo

si` come de l'agricola che Cristo
elesse a l'orto suo per aiutarlo.

Ben parve messo e famigliar di Cristo:

che 'l primo amor che 'n lui fu manifesto, fu al primo consiglio che die` Cristo.

Spesse fiate fu tacito e desto

trovato in terra da la sua nutrice,
come dicesse: 'Io son venuto a questo'.

Oh padre suo veramente Felice!

oh madre sua veramente Giovanna,
se, interpretata, val come si dice!

Non per lo mondo, per cui mo s'affanna

di retro ad Ostiense e a Taddeo,
ma per amor de la verace manna

in picciol tempo gran dottor si feo;

tal che si mise a circuir la vigna
che tosto imbianca, se 'l vignaio e` reo.

E
a la sedia che fu gia` benigna
piu` a' poveri giusti, non per lei, ma per colui che siede, che traligna,

non dispensare o due o tre per sei,

non la fortuna di prima vacante,
non decimas, quae sunt pauperum Dei,

addimando`, ma contro al mondo errante

licenza di combatter per lo seme
del qual ti fascian ventiquattro piante.

Poi, con dottrina e con volere insieme,

con l'officio appostolico si mosse
quasi torrente ch'alta vena preme;

e
ne li sterpi eretici percosse
l'impeto suo, piu` vivamente quivi dove le resistenze eran piu` grosse.

Di lui si fecer poi diversi rivi

onde l'orto catolico si riga,
si` che i suoi arbuscelli stan piu` vivi.

Se tal fu l'una rota de la biga

in che la Santa Chiesa si difese
e vinse in campo la sua civil briga,

ben ti dovrebbe assai esser palese

l'eccellenza de l'altra, di cui Tomma
dinanzi al mio venir fu si` cortese.

Ma l'orbita che fe' la parte somma

di sua circunferenza, e` derelitta,
si` ch'e` la muffa dov'era la gromma.

La sua famiglia, che si mosse dritta

coi piedi a le sue orme, e` tanto volta, che quel dinanzi a quel di retro gitta;

e
tosto si vedra` de la ricolta
de la mala coltura, quando il loglio si lagnera` che l'arca li sia tolta.

Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio

nostro volume, ancor troveria carta
u' leggerebbe "I' mi son quel ch'i' soglio";

ma non fia da Casal ne' d'Acquasparta,

la` onde vegnon tali a la scrittura,
ch'uno la fugge e altro la coarta.

Io son la vita di Bonaventura

da Bagnoregio, che ne' grandi offici
sempre pospuosi la sinistra cura.

Illuminato e Augustin son quici,

che fuor de' primi scalzi poverelli
che nel capestro a Dio si fero amici.

Ugo da San Vittore e` qui con elli,

e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
lo qual giu` luce in dodici libelli;

Natan profeta e 'l metropolitano

Crisostomo e Anselmo e quel Donato
ch'a la prim'arte degno` porre mano.

Rabano e` qui, e lucemi dallato

il calavrese abate Giovacchino,
di spirito profetico dotato.

Ad inveggiar cotanto paladino

mi mosse l'infiammata cortesia
di fra Tommaso e 'l discreto latino;

e mosse meco questa compagnia>>.


Paradiso: Canto XIII


Imagini, chi bene intender cupe

quel ch'i' or vidi - e ritegna l'image, mentre ch'io dico, come ferma rupe -,

quindici stelle che 'n diverse plage

lo ciel avvivan di tanto sereno
che soperchia de l'aere ogne compage;

imagini quel carro a cu' il seno

basta del nostro cielo e notte e giorno, si` ch'al volger del temo non vien meno;

imagini la bocca di quel corno

che si comincia in punta de lo stelo
a cui la prima rota va dintorno,

aver fatto di se' due segni in cielo,

qual fece la figliuola di Minoi
allora che senti` di morte il gelo;

e
l'un ne l'altro aver li raggi suoi,
e amendue girarsi per maniera che l'uno andasse al primo e l'altro al poi;
e
avra` quasi l'ombra de la vera
costellazione e de la doppia danza che circulava il punto dov'io era:

poi ch'e` tanto di la` da nostra usanza,

quanto di la` dal mover de la Chiana
si move il ciel che tutti li altri avanza.

Li` si canto` non Bacco, non Peana,

ma tre persone in divina natura,
e in una persona essa e l'umana.

Compie' 'l cantare e 'l volger sua misura;

e attesersi a noi quei santi lumi,
felicitando se' di cura in cura.

Ruppe il silenzio ne' concordi numi

poscia la luce in che mirabil vita
del poverel di Dio narrata fumi,

e
disse: <<Quando l'una paglia e` trita, quando la sua semenza e` gia` riposta, a batter l'altra dolce amor m'invita.

Tu credi che nel petto onde la costa

si trasse per formar la bella guancia
il cui palato a tutto 'l mondo costa,

e
in quel che, forato da la lancia,
e prima e poscia tanto sodisfece, che d'ogne colpa vince la bilancia,

quantunque a la natura umana lece

aver di lume, tutto fosse infuso
da quel valor che l'uno e l'altro fece;

e
pero` miri a cio` ch'io dissi suso,
quando narrai che non ebbe 'l secondo lo ben che ne la quinta luce e` chiuso.

Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo,

e vedrai il tuo credere e 'l mio dire
nel vero farsi come centro in tondo.

Cio` che non more e cio` che puo` morire

non e` se non splendor di quella idea
che partorisce, amando, il nostro Sire;

che' quella viva luce che si` mea

dal suo lucente, che non si disuna
da lui ne' da l'amor ch'a lor s'intrea,

per sua bontate il suo raggiare aduna,

quasi specchiato, in nove sussistenze, etternalmente rimanendosi una.

Quindi discende a l'ultime potenze

giu` d'atto in atto, tanto divenendo,
che piu` non fa che brevi contingenze;

e
queste contingenze essere intendo
le cose generate, che produce con seme e sanza seme il ciel movendo.

La cera di costoro e chi la duce

non sta d'un modo; e pero` sotto 'l segno ideale poi piu` e men traluce.

Ond'elli avvien ch'un medesimo legno,

secondo specie, meglio e peggio frutta; e voi nascete con diverso ingegno.

Se fosse a punto la cera dedutta

e fosse il cielo in sua virtu` supprema, la luce del suggel parrebbe tutta;

ma la natura la da` sempre scema,

similemente operando a l'artista
ch'a l'abito de l'arte ha man che trema.

Pero` se 'l caldo amor la chiara vista

de la prima virtu` dispone e segna,
tutta la perfezion quivi s'acquista.

Cosi` fu fatta gia` la terra degna

di tutta l'animal perfezione;
cosi` fu fatta la Vergine pregna;

si` ch'io commendo tua oppinione,

che l'umana natura mai non fue
ne' fia qual fu in quelle due persone.

Or s'i' non procedesse avanti piue,

'Dunque, come costui fu sanza pare?'
comincerebber le parole tue.

Ma perche' paia ben cio` che non pare,

pensa chi era, e la cagion che 'l mosse, quando fu detto "Chiedi", a dimandare.

Non ho parlato si`, che tu non posse

ben veder ch'el fu re, che chiese senno accio` che re sufficiente fosse;

non per sapere il numero in che enno

li motor di qua su`, o se necesse
con contingente mai necesse fenno;

non si est dare primum motum esse,

  • se del mezzo cerchio far si puote triangol si` ch'un retto non avesse.

Onde, se cio` ch'io dissi e questo note,

regal prudenza e` quel vedere impari
in che lo stral di mia intenzion percuote;

e
se al "surse" drizzi li occhi chiari,
vedrai aver solamente respetto ai regi, che son molti, e ' buon son rari.

Con questa distinzion prendi 'l mio detto;

e cosi` puote star con quel che credi
del primo padre e del nostro Diletto.

E
questo ti sia sempre piombo a' piedi,
per farti mover lento com'uom lasso e al si` e al no che tu non vedi:

che' quelli e` tra li stolti bene a basso,

che sanza distinzione afferma e nega
ne l'un cosi` come ne l'altro passo;

perch'elli 'ncontra che piu` volte piega

l'oppinion corrente in falsa parte,
e poi l'affetto l'intelletto lega.

Vie piu` che 'ndarno da riva si parte,

perche' non torna tal qual e' si move, chi pesca per lo vero e non ha l'arte.

E
di cio` sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso e molti, li quali andaro e non sapean dove;

si` fe' Sabellio e Arrio e quelli stolti

che furon come spade a le Scritture
in render torti li diritti volti.

Non sien le genti, ancor, troppo sicure

a giudicar, si` come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature;

ch'i' ho veduto tutto 'l verno prima

lo prun mostrarsi rigido e feroce;
poscia portar la rosa in su la cima;

e
legno vidi gia` dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo cammino, perire al fine a l'intrar de la foce.

Non creda donna Berta e ser Martino,

per vedere un furare, altro offerere,
vederli dentro al consiglio divino;

che' quel puo` surgere, e quel puo` cadere>>.


Paradiso: Canto XIV


Dal centro al cerchio, e si` dal cerchio al centro

movesi l'acqua in un ritondo vaso,
secondo ch'e` percosso fuori o dentro:

ne la mia mente fe' subito caso

questo ch'io dico, si` come si tacque
la gloriosa vita di Tommaso,

per la similitudine che nacque

del suo parlare e di quel di Beatrice, a cui si` cominciar, dopo lui, piacque:

<<A costui fa mestieri, e nol vi dice

ne' con la voce ne' pensando ancora,
d'un altro vero andare a la radice.

Diteli se la luce onde s'infiora

vostra sustanza, rimarra` con voi
etternalmente si` com'ell'e` ora;

e
se rimane, dite come, poi
che sarete visibili rifatti, esser pora` ch'al veder non vi noi>>.

Come, da piu` letizia pinti e tratti,

a la fiata quei che vanno a rota
levan la voce e rallegrano li atti,

cosi`, a l'orazion pronta e divota,

li santi cerchi mostrar nova gioia
nel torneare e ne la mira nota.

Qual si lamenta perche' qui si moia

per viver cola` su`, non vide quive
lo refrigerio de l'etterna ploia.

Quell'uno e due e tre che sempre vive

e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno, non circunscritto, e tutto circunscrive,

tre volte era cantato da ciascuno

di quelli spirti con tal melodia,
ch'ad ogne merto saria giusto muno.

E
io udi' ne la luce piu` dia
del minor cerchio una voce modesta, forse qual fu da l'angelo a Maria,
risponder
<<Quanto fia lunga la festa di paradiso, tanto il nostro amore si raggera` dintorno cotal vesta.

La sua chiarezza seguita l'ardore;

l'ardor la visione, e quella e` tanta, quant'ha di grazia sovra suo valore.

Come la carne gloriosa e santa

fia rivestita, la nostra persona
piu` grata fia per esser tutta quanta;

per che s'accrescera` cio` che ne dona

di gratuito lume il sommo bene,
lume ch'a lui veder ne condiziona;

onde la vision crescer convene,

crescer l'ardor che di quella s'accende, crescer lo raggio che da esso vene.

Ma si` come carbon che fiamma rende,

e per vivo candor quella soverchia,
si` che la sua parvenza si difende;

cosi` questo folgor che gia` ne cerchia

fia vinto in apparenza da la carne
che tutto di` la terra ricoperchia;

ne' potra` tanta luce affaticarne:

che' li organi del corpo saran forti
a tutto cio` che potra` dilettarne>>.

Tanto mi parver subiti e accorti

e l'uno e l'altro coro a dicer <<Amme!>>, che ben mostrar disio d'i corpi morti:

forse non pur per lor, ma per le mamme,

per li padri e per li altri che fuor cari anzi che fosser sempiterne fiamme.

Ed ecco intorno, di chiarezza pari,

nascere un lustro sopra quel che v'era, per guisa d'orizzonte che rischiari.

E
si` come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze, si` che la vista pare e non par vera,

parvemi li` novelle sussistenze

cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da l'altre due circunferenze.

Oh vero sfavillar del Santo Spiro!

come si fece subito e candente
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!

Ma Beatrice si` bella e ridente

mi si mostro`, che tra quelle vedute
si vuol lasciar che non seguir la mente.

Quindi ripreser li occhi miei virtute

a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in piu` alta salute.

Ben m'accors'io ch'io era piu` levato,

per l'affocato riso de la stella,
che mi parea piu` roggio che l'usato.

Con tutto 'l core e con quella favella

ch'e` una in tutti, a Dio feci olocausto, qual conveniesi a la grazia novella.

E
non er'anco del mio petto essausto
l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi esso litare stato accetto e fausto;

che' con tanto lucore e tanto robbi

m'apparvero splendor dentro a due raggi, ch'io dissi: <<O Elios che si` li addobbi!>>.

Come distinta da minori e maggi

lumi biancheggia tra ' poli del mondo
Galassia si`, che fa dubbiar ben saggi;

si` costellati facean nel profondo

Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.

Qui vince la memoria mia lo 'ngegno;

che' quella croce lampeggiava Cristo,
si` ch'io non so trovare essempro degno;

ma chi prende sua croce e segue Cristo,

ancor mi scusera` di quel ch'io lasso, vedendo in quell'albor balenar Cristo.

Di corno in corno e tra la cima e 'l basso

si movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:

cosi` si veggion qui diritte e torte,

veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie d'i corpi, lunghe e corte,

moversi per lo raggio onde si lista

talvolta l'ombra che, per sua difesa,
la gente con ingegno e arte acquista.

E
come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non e` intesa,

cosi` da' lumi che li` m'apparinno

s'accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l'inno.

Ben m'accors'io ch'elli era d'alte lode,

pero` ch'a me venia <<Resurgi>> e <<Vinci>> come a colui che non intende e ode.

Io m'innamorava tanto quinci,

che 'nfino a li` non fu alcuna cosa
che mi legasse con si` dolci vinci.

Forse la mia parola par troppo osa,

posponendo il piacer de li occhi belli, ne' quai mirando mio disio ha posa;

ma chi s'avvede che i vivi suggelli

d'ogne bellezza piu` fanno piu` suso,
e ch'io non m'era li` rivolto a quelli,

escusar puommi di quel ch'io m'accuso

per escusarmi, e vedermi dir vero:
che' 'l piacer santo non e` qui dischiuso,

perche' si fa, montando, piu` sincero.


Paradiso: Canto XV


Benigna volontade in che si liqua

sempre l'amor che drittamente spira,
come cupidita` fa ne la iniqua,

silenzio puose a quella dolce lira,

e fece quietar le sante corde
che la destra del cielo allenta e tira.

Come saranno a' giusti preghi sorde

quelle sustanze che, per darmi voglia
ch'io le pregassi, a tacer fur concorde?

Bene e` che sanza termine si doglia

chi, per amor di cosa che non duri,
etternalmente quello amor si spoglia.

Quale per li seren tranquilli e puri

discorre ad ora ad or subito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,

e
pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond'e' s'accende nulla sen perde, ed esso dura poco:

tale dal corno che 'n destro si stende

a pie` di quella croce corse un astro
de la costellazion che li` resplende;

ne' si parti` la gemma dal suo nastro,

ma per la lista radial trascorse,
che parve foco dietro ad alabastro.

Si` pia l'ombra d'Anchise si porse,

se fede merta nostra maggior musa,
quando in Eliso del figlio s'accorse.

<<O sanguis meus, o superinfusa

gratia Dei, sicut tibi cui
bis unquam celi ianua reclusa?>>.

Cosi` quel lume
ond'io m'attesi a lui;
poscia rivolsi a la mia donna il viso, e quinci e quindi stupefatto fui;

che' dentro a li occhi suoi ardeva un riso

tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo de la mia gloria e del mio paradiso.

Indi, a udire e a veder giocondo,

giunse lo spirto al suo principio cose, ch'io non lo 'ntesi, si` parlo` profondo;

ne' per elezion mi si nascose,

ma per necessita`, che' 'l suo concetto al segno d'i mortal si soprapuose.

E
quando l'arco de l'ardente affetto
fu si` sfogato, che 'l parlar discese inver' lo segno del nostro intelletto,

la prima cosa che per me s'intese,

<<Benedetto sia tu>>, fu, <<trino e uno, che nel mio seme se' tanto cortese!>>.

E
segui`: <<Grato e lontano digiuno, tratto leggendo del magno volume du' non si muta mai bianco ne' bruno,

solvuto hai, figlio, dentro a questo lume

in ch'io ti parlo, merce` di colei
ch'a l'alto volo ti vesti` le piume.

Tu credi che a me tuo pensier mei

da quel ch'e` primo, cosi` come raia
da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei;

e
pero` ch'io mi sia e perch'io paia
piu` gaudioso a te, non mi domandi, che alcun altro in questa turba gaia.

Tu credi 'l vero; che' i minori e ' grandi

di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi;

ma perche' 'l sacro amore in che io veglio

con perpetua vista e che m'asseta
di dolce disiar, s'adempia meglio,

la voce tua sicura, balda e lieta

suoni la volonta`, suoni 'l disio,
a che la mia risposta e` gia` decreta!>>.

Io mi volsi a Beatrice, e quella udio

pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno che fece crescer l'ali al voler mio.

Poi cominciai cosi`
<<L'affetto e 'l senno, come la prima equalita` v'apparse, d'un peso per ciascun di voi si fenno,

pero` che 'l sol che v'allumo` e arse,

col caldo e con la luce e` si` iguali, che tutte simiglianze sono scarse.

Ma voglia e argomento ne' mortali,

per la cagion ch'a voi e` manifesta,
diversamente son pennuti in ali;

ond'io, che son mortal, mi sento in questa

disagguaglianza, e pero` non ringrazio se non col core a la paterna festa.

Ben supplico io a te, vivo topazio

che questa gioia preziosa ingemmi,
perche' mi facci del tuo nome sazio>>.

<<O fronda mia in che io compiacemmi

pur aspettando, io fui la tua radice>>: cotal principio, rispondendo, femmi.

Poscia mi disse
<<Quel da cui si dice tua cognazione e che cent'anni e piue girato ha 'l monte in la prima cornice,

mio figlio fu e tuo bisavol fue:

ben si convien che la lunga fatica
tu li raccorci con l'opere tue.

Fiorenza dentro da la cerchia antica,

ond'ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica.

Non avea catenella, non corona,

non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder piu` che la persona.

Non faceva, nascendo, ancor paura

la figlia al padre, che 'l tempo e la dote non fuggien quinci e quindi la misura.

Non avea case di famiglia vote;

non v'era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar cio` che 'n camera si puote.

Non era vinto ancora Montemalo

dal vostro Uccellatoio, che, com'e` vinto nel montar su`, cosi` sara` nel calo.

Bellincion Berti vid'io andar cinto

di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio la donna sua sanza 'l viso dipinto;

e
vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio esser contenti a la pelle scoperta, e le sue donne al fuso e al pennecchio.

Oh fortunate! ciascuna era certa

de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.

L'una vegghiava a studio de la culla,

e, consolando, usava l'idioma
che prima i padri e le madri trastulla;

l'altra, traendo a la rocca la chioma,

favoleggiava con la sua famiglia
d'i Troiani, di Fiesole e di Roma.

Saria tenuta allor tal maraviglia

una Cianghella, un Lapo Salterello,
qual or saria Cincinnato e Corniglia.

A
cosi` riposato, a cosi` bello
viver di cittadini, a cosi` fida cittadinanza, a cosi` dolce ostello,

Maria mi die`, chiamata in alte grida;

e ne l'antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.

Moronto fu mio frate ed Eliseo;

mia donna venne a me di val di Pado,
e quindi il sopranome tuo si feo.

Poi seguitai lo 'mperador Currado;

ed el mi cinse de la sua milizia,
tanto per bene ovrar li venni in grado.

Dietro li andai incontro a la nequizia

di quella legge il cui popolo usurpa,
per colpa d'i pastor, vostra giustizia.

Quivi fu' io da quella gente turpa

disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt'anime deturpa;

e venni dal martiro a questa pace>>.


Paradiso: Canto XVI


O
poca nostra nobilta` di sangue,
se gloriar di te la gente fai qua giu` dove l'affetto nostro langue,

mirabil cosa non mi sara` mai:

che' la` dove appetito non si torce,
dico nel cielo, io me ne gloriai.

Ben se' tu manto che tosto raccorce:

si` che, se non s'appon di di` in die, lo tempo va dintorno con le force.

Dal 'voi' che prima a Roma s'offerie,

in che la sua famiglia men persevra,
ricominciaron le parole mie;

onde Beatrice, ch'era un poco scevra,

ridendo, parve quella che tossio
al primo fallo scritto di Ginevra.

Io cominciai
<<Voi siete il padre mio; voi mi date a parlar tutta baldezza; voi mi levate si`, ch'i' son piu` ch'io.

Per tanti rivi s'empie d'allegrezza

la mente mia, che di se' fa letizia
perche' puo` sostener che non si spezza.

Ditemi dunque, cara mia primizia,

quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni che si segnaro in vostra puerizia;

ditemi de l'ovil di San Giovanni

quanto era allora, e chi eran le genti tra esso degne di piu` alti scanni>>.

Come s'avviva a lo spirar d'i venti

carbone in fiamma, cosi` vid'io quella luce risplendere a' miei blandimenti;

e
come a li occhi miei si fe' piu` bella, cosi` con voce piu` dolce e soave, ma non con questa moderna favella,
dissemi
<<Da quel di` che fu detto 'Ave' al parto in che mia madre, ch'e` or santa, s'allevio` di me ond'era grave,

al suo Leon cinquecento cinquanta

e trenta fiate venne questo foco
a rinfiammarsi sotto la sua pianta.

Li antichi miei e io nacqui nel loco

dove si truova pria l'ultimo sesto
da quei che corre il vostro annual gioco.

Basti d'i miei maggiori udirne questo:

chi ei si fosser e onde venner quivi,
piu` e` tacer che ragionare onesto.

Tutti color ch'a quel tempo eran ivi

da poter arme tra Marte e 'l Batista,
eran il quinto di quei ch'or son vivi.

Ma la cittadinanza, ch'e` or mista

di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
pura vediesi ne l'ultimo artista.

Oh quanto fora meglio esser vicine

quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo e a Trespiano aver vostro confine,

che averle dentro e sostener lo puzzo

del villan d'Aguglion, di quel da Signa, che gia` per barattare ha l'occhio aguzzo!

Se la gente ch'al mondo piu` traligna

non fosse stata a Cesare noverca,
ma come madre a suo figlio benigna,

tal fatto e` fiorentino e cambia e merca,

che si sarebbe volto a Simifonti,
la` dove andava l'avolo a la cerca;

sariesi Montemurlo ancor de' Conti;

sarieno i Cerchi nel piovier d'Acone,
e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.

Sempre la confusion de le persone

principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che s'appone;

e
cieco toro piu` avaccio cade
che cieco agnello; e molte volte taglia piu` e meglio una che le cinque spade.

Se tu riguardi Luni e Orbisaglia

come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,

udir come le schiatte si disfanno

non ti parra` nova cosa ne' forte,
poscia che le cittadi termine hanno.

Le vostre cose tutte hanno lor morte,

si` come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto, e le vite son corte.

E
come 'l volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa, cosi` fa di Fiorenza la Fortuna:

per che non dee parer mirabil cosa

cio` ch'io diro` de li alti Fiorentini onde e` la fama nel tempo nascosa.

Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,

Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
gia` nel calare, illustri cittadini;

e
vidi cosi` grandi come antichi,
con quel de la Sannella, quel de l'Arca, e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.

Sovra la porta ch'al presente e` carca

di nova fellonia di tanto peso
che tosto fia iattura de la barca,

erano i Ravignani, ond'e` disceso

il conte Guido e qualunque del nome
de l'alto Bellincione ha poscia preso.

Quel de la Pressa sapeva gia` come

regger si vuole, e avea Galigaio
dorata in casa sua gia` l'elsa e 'l pome.

Grand'era gia` la colonna del Vaio,

Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
e Galli e quei ch'arrossan per lo staio.

Lo ceppo di che nacquero i Calfucci

era gia` grande, e gia` eran tratti
a le curule Sizii e Arrigucci.

Oh quali io vidi quei che son disfatti

per lor superbia! e le palle de l'oro
fiorian Fiorenza in tutt'i suoi gran fatti.

Cosi` facieno i padri di coloro

che, sempre che la vostra chiesa vaca, si fanno grassi stando a consistoro.

L'oltracotata schiatta che s'indraca

dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente

  • ver la borsa, com'agnel si placa,

gia` venia su`, ma di picciola gente;

si` che non piacque ad Ubertin Donato
che poi il suocero il fe' lor parente.

Gia` era 'l Caponsacco nel mercato

disceso giu` da Fiesole, e gia` era
buon cittadino Giuda e Infangato.

Io diro` cosa incredibile e vera:

nel picciol cerchio s'entrava per porta che si nomava da quei de la Pera.

Ciascun che de la bella insegna porta

del gran barone il cui nome e 'l cui pregio la festa di Tommaso riconforta,

da esso ebbe milizia e privilegio;

avvegna che con popol si rauni
oggi colui che la fascia col fregio.

Gia` eran Gualterotti e Importuni;

e ancor saria Borgo piu` quieto,
se di novi vicin fosser digiuni.

La casa di che nacque il vostro fleto,

per lo giusto disdegno che v'ha morti, e puose fine al vostro viver lieto,

era onorata, essa e suoi consorti:

  • Buondelmonte, quanto mal fuggisti le nozze sue per li altrui conforti!

Molti sarebber lieti, che son tristi,

se Dio t'avesse conceduto ad Ema
la prima volta ch'a citta` venisti.

Ma conveniesi a quella pietra scema

che guarda 'l ponte, che Fiorenza fesse vittima ne la sua pace postrema.

Con queste genti, e con altre con esse,

vid'io Fiorenza in si` fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse:

con queste genti vid'io glorioso

e giusto il popol suo, tanto che 'l giglio non era ad asta mai posto a ritroso,

ne' per division fatto vermiglio>>.


Paradiso: Canto XVII


Qual venne a Climene', per accertarsi

di cio` ch'avea incontro a se' udito,
quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi;

tal era io, e tal era sentito

e da Beatrice e da la santa lampa
che pria per me avea mutato sito.

Per che mia donna <<Manda fuor la vampa

del tuo disio>>, mi disse, <<si` ch'ella esca segnata bene de la interna stampa;

non perche' nostra conoscenza cresca

per tuo parlare, ma perche' t'ausi
a dir la sete, si` che l'uom ti mesca>>.

<<O cara piota mia che si` t'insusi,

che, come veggion le terrene menti
non capere in triangol due ottusi,

cosi` vedi le cose contingenti

anzi che sieno in se', mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti;

mentre ch'io era a Virgilio congiunto

su per lo monte che l'anime cura
e discendendo nel mondo defunto,

dette mi fuor di mia vita futura

parole gravi, avvegna ch'io mi senta
ben tetragono ai colpi di ventura;

per che la voglia mia saria contenta

d'intender qual fortuna mi s'appressa; che' saetta previsa vien piu` lenta>>.

Cosi` diss'io a quella luce stessa

che pria m'avea parlato; e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.

Ne' per ambage, in che la gente folle

gia` s'inviscava pria che fosse anciso l'Agnel di Dio che le peccata tolle,

ma per chiare parole e con preciso

latin rispuose quello amor paterno,
chiuso e parvente del suo proprio riso:

<<La contingenza, che fuor del quaderno

de la vostra matera non si stende,
tutta e` dipinta nel cospetto etterno:

necessita` pero` quindi non prende

se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giu` discende.

Da indi, si` come viene ad orecchia

dolce armonia da organo, mi viene
a vista il tempo che ti s'apparecchia.

Qual si partio Ipolito d'Atene

per la spietata e perfida noverca,
tal di Fiorenza partir ti convene.

Questo si vuole e questo gia` si cerca,

e tosto verra` fatto a chi cio` pensa
la` dove Cristo tutto di` si merca.

La colpa seguira` la parte offensa

in grido, come suol; ma la vendetta
fia testimonio al ver che la dispensa.

Tu lascerai ogne cosa diletta

piu` caramente; e questo e` quello strale che l'arco de lo essilio pria saetta.

Tu proverai si` come sa di sale

lo pane altrui, e come e` duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.

E
quel che piu` ti gravera` le spalle,
sara` la compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle;

che tutta ingrata, tutta matta ed empia

si fara` contr'a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n'avra` rossa la tempia.

Di sua bestialitate il suo processo

fara` la prova; si` ch'a te fia bello
averti fatta parte per te stesso.

Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello

sara` la cortesia del gran Lombardo
che 'n su la scala porta il santo uccello;

ch'in te avra` si` benigno riguardo,

che del fare e del chieder, tra voi due, fia primo quel che tra li altri e` piu` tardo.

Con lui vedrai colui che 'mpresso fue,

nascendo, si` da questa stella forte,
che notabili fier l'opere sue.

Non se ne son le genti ancora accorte

per la novella eta`, che' pur nove anni son queste rote intorno di lui torte;

ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni,

parran faville de la sua virtute
in non curar d'argento ne' d'affanni.

Le sue magnificenze conosciute

saranno ancora, si` che ' suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute.

A
lui t'aspetta e a' suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici;
e
portera'ne scritto ne la mente
di lui, e nol dirai>>; e disse cose incredibili a quei che fier presente.
Poi giunse
<<Figlio, queste son le chiose di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie che dietro a pochi giri son nascose.

Non vo' pero` ch'a' tuoi vicini invidie,

poscia che s'infutura la tua vita
vie piu` la` che 'l punir di lor perfidie>>.

Poi che, tacendo, si mostro` spedita

l'anima santa di metter la trama
in quella tela ch'io le porsi ordita,

io cominciai, come colui che brama,

dubitando, consiglio da persona
che vede e vuol dirittamente e ama:

<<Ben veggio, padre mio, si` come sprona

lo tempo verso me, per colpo darmi
tal, ch'e` piu` grave a chi piu` s'abbandona;

per che di provedenza e` buon ch'io m'armi,

si` che, se loco m'e` tolto piu` caro, io non perdessi li altri per miei carmi.

Giu` per lo mondo sanza fine amaro,

e per lo monte del cui bel cacume
li occhi de la mia donna mi levaro,

e
poscia per lo ciel, di lume in lume,
ho io appreso quel che s'io ridico, a molti fia sapor di forte agrume;
e
s'io al vero son timido amico,
temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico>>.

La luce in che rideva il mio tesoro

ch'io trovai li`, si fe' prima corusca, quale a raggio di sole specchio d'oro;

indi rispuose: <<Coscienza fusca

  • de la propria o de l'altrui vergogna pur sentira` la tua parola brusca.

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,

tutta tua vision fa manifesta;
e lascia pur grattar dov'e` la rogna.

Che' se la voce tua sara` molesta

nel primo gusto, vital nodrimento
lascera` poi, quando sara` digesta.

Questo tuo grido fara` come vento,

che le piu` alte cime piu` percuote;
e cio` non fa d'onor poco argomento.

Pero` ti son mostrate in queste rote,

nel monte e ne la valle dolorosa
pur l'anime che son di fama note,

che l'animo di quel ch'ode, non posa

ne' ferma fede per essempro ch'aia
la sua radice incognita e ascosa,

ne' per altro argomento che non paia>>.


Paradiso: Canto XVIII


Gia` si godeva solo del suo verbo

quello specchio beato, e io gustava
lo mio, temprando col dolce l'acerbo;

e
quella donna ch'a Dio mi menava
disse: <<Muta pensier; pensa ch'i' sono presso a colui ch'ogne torto disgrava>>.

Io mi rivolsi a l'amoroso suono

del mio conforto; e qual io allor vidi ne li occhi santi amor, qui l'abbandono:

non perch'io pur del mio parlar diffidi,

ma per la mente che non puo` redire
sovra se' tanto, s'altri non la guidi.

Tanto poss'io di quel punto ridire,

che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogne altro disire,

fin che 'l piacere etterno, che diretto

raggiava in Beatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.

Vincendo me col lume d'un sorriso,

ella mi disse: <<Volgiti e ascolta; che' non pur ne' miei occhi e` paradiso>>.

Come si vede qui alcuna volta

l'affetto ne la vista, s'elli e` tanto, che da lui sia tutta l'anima tolta,

cosi` nel fiammeggiar del folgor santo,

a ch'io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.

El comincio`
<<In questa quinta soglia de l'albero che vive de la cima e frutta sempre e mai non perde foglia,

spiriti son beati, che giu`, prima

che venissero al ciel, fuor di gran voce, si` ch'ogne musa ne sarebbe opima.

Pero` mira ne' corni de la croce:

quello ch'io nomero`, li` fara` l'atto che fa in nube il suo foco veloce>>.

Io vidi per la croce un lume tratto

dal nomar Iosue`, com'el si feo;
ne' mi fu noto il dir prima che 'l fatto.

E
al nome de l'alto Macabeo
vidi moversi un altro roteando, e letizia era ferza del paleo.

Cosi` per Carlo Magno e per Orlando

due ne segui` lo mio attento sguardo,
com'occhio segue suo falcon volando.

Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo

e 'l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.

Indi, tra l'altre luci mota e mista,

mostrommi l'alma che m'avea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista.

Io mi rivolsi dal mio destro lato

per vedere in Beatrice il mio dovere,

  • per parlare o per atto, segnato;
e
vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza vinceva li altri e l'ultimo solere.
E
come, per sentir piu` dilettanza
bene operando, l'uom di giorno in giorno s'accorge che la sua virtute avanza,

si` m'accors'io che 'l mio girare intorno

col cielo insieme avea cresciuto l'arco, veggendo quel miracol piu` addorno.

E
qual e` 'l trasmutare in picciol varco di tempo in bianca donna, quando 'l volto suo si discarchi di vergogna il carco,

tal fu ne li occhi miei, quando fui volto,

per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a se' m'avea ricolto.

Io vidi in quella giovial facella

lo sfavillar de l'amor che li` era,
segnare a li occhi miei nostra favella.

E
come augelli surti di rivera,
quasi congratulando a lor pasture, fanno di se' or tonda or altra schiera,

si` dentro ai lumi sante creature

volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.

Prima, cantando, a sua nota moviensi;

poi, diventando l'un di questi segni,
un poco s'arrestavano e taciensi.

O
diva Pegasea che li 'ngegni
fai gloriosi e rendili longevi, ed essi teco le cittadi e ' regni,

illustrami di te, si` ch'io rilevi

le lor figure com'io l'ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!

Mostrarsi dunque in cinque volte sette

vocali e consonanti; e io notai
le parti si`, come mi parver dette.

'DILIGITE IUSTITIAM', primai

fur verbo e nome di tutto 'l dipinto;
'QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai.

Poscia ne l'emme del vocabol quinto

rimasero ordinate; si` che Giove
pareva argento li` d'oro distinto.

E
vidi scendere altre luci dove
era il colmo de l'emme, e li` quetarsi cantando, credo, il ben ch'a se' le move.

Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi

surgono innumerabili faville,
onde li stolti sogliono agurarsi,

resurger parver quindi piu` di mille

luci e salir, qual assai e qual poco,
si` come 'l sol che l'accende sortille;

e
quietata ciascuna in suo loco,
la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi rappresentare a quel distinto foco.

Quei che dipinge li`, non ha chi 'l guidi;

ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtu` ch'e` forma per li nidi.

L'altra beatitudo, che contenta

pareva prima d'ingigliarsi a l'emme,
con poco moto seguito` la 'mprenta.

O
dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraro che nostra giustizia effetto sia del ciel che tu ingemme!

Per ch'io prego la mente in che s'inizia

tuo moto e tua virtute, che rimiri
ond'esce il fummo che 'l tuo raggio vizia;

si` ch'un'altra fiata omai s'adiri

del comperare e vender dentro al templo che si muro` di segni e di martiri.

O
milizia del ciel cu' io contemplo,
adora per color che sono in terra tutti sviati dietro al malo essemplo!

Gia` si solea con le spade far guerra;

ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che 'l pio Padre a nessun serra.

Ma tu che sol per cancellare scrivi,

pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.

Ben puoi tu dire
<<I' ho fermo 'l disiro si` a colui che volle viver solo e che per salti fu tratto al martiro,

ch'io non conosco il pescator ne' Polo>>.


Paradiso: Canto XIX


Parea dinanzi a me con l'ali aperte

la bella image che nel dolce frui
liete facevan l'anime conserte;

parea ciascuna rubinetto in cui

raggio di sole ardesse si` acceso,
che ne' miei occhi rifrangesse lui.

E
quel che mi convien ritrar testeso,
non porto` voce mai, ne' scrisse incostro, ne' fu per fantasia gia` mai compreso;

ch'io vidi e anche udi' parlar lo rostro,

e sonar ne la voce e <<io>> e <<mio>>, quand'era nel concetto e 'noi' e 'nostro'.

E
comincio`: <<Per esser giusto e pio son io qui essaltato a quella gloria che non si lascia vincere a disio;
e
in terra lasciai la mia memoria
si` fatta, che le genti li` malvage commendan lei, ma non seguon la storia>>.

Cosi` un sol calor di molte brage

si fa sentir, come di molti amori
usciva solo un suon di quella image.

Ond'io appresso
<<O perpetui fiori de l'etterna letizia, che pur uno parer mi fate tutti vostri odori,

solvetemi, spirando, il gran digiuno

che lungamente m'ha tenuto in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno.

Ben so io che, se 'n cielo altro reame

la divina giustizia fa suo specchio,
che 'l vostro non l'apprende con velame.

Sapete come attento io m'apparecchio

ad ascoltar; sapete qual e` quello
dubbio che m'e` digiun cotanto vecchio>>.

Quasi falcone ch'esce del cappello,

move la testa e con l'ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello,

vid'io farsi quel segno, che di laude

de la divina grazia era contesto,
con canti quai si sa chi la` su` gaude.

Poi comincio`
<<Colui che volse il sesto a lo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto,

non pote' suo valor si` fare impresso

in tutto l'universo, che 'l suo verbo
non rimanesse in infinito eccesso.

E
cio` fa certo che 'l primo superbo,
che fu la somma d'ogne creatura, per non aspettar lume, cadde acerbo;
e
quinci appar ch'ogne minor natura
e` corto recettacolo a quel bene che non ha fine e se' con se' misura.

Dunque vostra veduta, che convene

esser alcun de' raggi de la mente
di che tutte le cose son ripiene,

non po` da sua natura esser possente

tanto, che suo principio discerna
molto di la` da quel che l'e` parvente.

Pero` ne la giustizia sempiterna

la vista che riceve il vostro mondo,
com'occhio per lo mare, entro s'interna;

che, ben che da la proda veggia il fondo,

in pelago nol vede; e nondimeno
eli, ma cela lui l'esser profondo.

Lume non e`, se non vien dal sereno

che non si turba mai; anzi e` tenebra
od ombra de la carne o suo veleno.

Assai t'e` mo aperta la latebra

che t'ascondeva la giustizia viva,
di che facei question cotanto crebra;

che' tu dicevi
"Un uom nasce a la riva
de l'Indo, e quivi non e` chi ragioni di Cristo ne' chi legga ne' chi scriva;
e
tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana vede, sanza peccato in vita o in sermoni.

Muore non battezzato e sanza fede:

ov'e` questa giustizia che 'l condanna? ov'e` la colpa sua, se ei non crede?"

Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna,

per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta d'una spanna?

Certo a colui che meco s'assottiglia,

se la Scrittura sovra voi non fosse,
da dubitar sarebbe a maraviglia.

Oh terreni animali! oh menti grosse!

La prima volonta`, ch'e` da se' buona, da se', ch'e` sommo ben, mai non si mosse.

Cotanto e` giusto quanto a lei consuona:

nullo creato bene a se' la tira,
ma essa, radiando, lui cagiona>>.

Quale sovresso il nido si rigira

poi c'ha pasciuti la cicogna i figli,
e come quel ch'e` pasto la rimira;

cotal si fece, e si` levai i cigli,

la benedetta imagine, che l'ali
movea sospinte da tanti consigli.

Roteando cantava, e dicea
<<Quali son le mie note a te, che non le 'ntendi, tal e` il giudicio etterno a voi mortali>>.

Poi si quetaro quei lucenti incendi

de lo Spirito Santo ancor nel segno
che fe' i Romani al mondo reverendi,

esso ricomincio`
<<A questo regno non sali` mai chi non credette 'n Cristo, ne' pria ne' poi ch'el si chiavasse al legno.
Ma vedi
molti gridan "Cristo, Cristo!", che saranno in giudicio assai men prope a lui, che tal che non conosce Cristo;
e
tai Cristian dannera` l'Etiope,
quando si partiranno i due collegi, l'uno in etterno ricco e l'altro inope.

Che poran dir li Perse a' vostri regi,

come vedranno quel volume aperto
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?

Li` si vedra`, tra l'opere d'Alberto,

quella che tosto movera` la penna,
per che 'l regno di Praga fia diserto.

Li` si vedra` il duol che sovra Senna

induce, falseggiando la moneta,
quel che morra` di colpo di cotenna.

Li` si vedra` la superbia ch'asseta,

che fa lo Scotto e l'Inghilese folle,
si` che non puo` soffrir dentro a sua meta.

Vedrassi la lussuria e 'l viver molle

di quel di Spagna e di quel di Boemme, che mai valor non conobbe ne' volle.

Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme

segnata con un i la sua bontate,
quando 'l contrario segnera` un emme.

Vedrassi l'avarizia e la viltate

di quei che guarda l'isola del foco,
ove Anchise fini` la lunga etate;

e
a dare ad intender quanto e` poco,
la sua scrittura fian lettere mozze, che noteranno molto in parvo loco.
E
parranno a ciascun l'opere sozze
del barba e del fratel, che tanto egregia nazione e due corone han fatte bozze.
E
quel di Portogallo e di Norvegia
li` si conosceranno, e quel di Rascia che male ha visto il conio di Vinegia.

Oh beata Ungheria, se non si lascia

piu` malmenare! e beata Navarra,
se s'armasse del monte che la fascia!

E
creder de' ciascun che gia`, per arra
di questo, Niccosia e Famagosta per la lor bestia si lamenti e garra,

che dal fianco de l'altre non si scosta>>.


Paradiso: Canto XX


Quando colui che tutto 'l mondo alluma

de l'emisperio nostro si` discende,
che 'l giorno d'ogne parte si consuma,

lo ciel, che sol di lui prima s'accende,

subitamente si rifa` parvente
per molte luci, in che una risplende;

e
questo atto del ciel mi venne a mente, come 'l segno del mondo e de' suoi duci nel benedetto rostro fu tacente;

pero` che tutte quelle vive luci,

vie piu` lucendo, cominciaron canti
da mia memoria labili e caduci.

O
dolce amor che di riso t'ammanti,
quanto parevi ardente in que' flailli, ch'avieno spirto sol di pensier santi!

Poscia che i cari e lucidi lapilli

ond'io vidi ingemmato il sesto lume
puoser silenzio a li angelici squilli,

udir mi parve un mormorar di fiume

che scende chiaro giu` di pietra in pietra, mostrando l'uberta` del suo cacume.

E
come suono al collo de la cetra
prende sua forma, e si` com'al pertugio de la sampogna vento che penetra,

cosi`, rimosso d'aspettare indugio,

quel mormorar de l'aguglia salissi
su per lo collo, come fosse bugio.

Fecesi voce quivi, e quindi uscissi

per lo suo becco in forma di parole,
quali aspettava il core ov'io le scrissi.

<<La parte in me che vede e pate il sole

ne l'aguglie mortali>>, incominciommi, <<or fisamente riguardar si vole,

perche' d'i fuochi ond'io figura fommi,

quelli onde l'occhio in testa mi scintilla, e' di tutti lor gradi son li sommi.

Colui che luce in mezzo per pupilla,

fu il cantor de lo Spirito Santo,
che l'arca traslato` di villa in villa:

ora conosce il merto del suo canto,

in quanto effetto fu del suo consiglio, per lo remunerar ch'e` altrettanto.

Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,

colui che piu` al becco mi s'accosta,
la vedovella consolo` del figlio:

ora conosce quanto caro costa

non seguir Cristo, per l'esperienza
di questa dolce vita e de l'opposta.

E
quel che segue in la circunferenza
di che ragiono, per l'arco superno, morte indugio` per vera penitenza:

ora conosce che 'l giudicio etterno

non si trasmuta, quando degno preco
fa crastino la` giu` de l'odierno.

L'altro che segue, con le leggi e meco,

sotto buona intenzion che fe' mal frutto, per cedere al pastor si fece greco:

ora conosce come il mal dedutto

dal suo bene operar non li e` nocivo,
avvegna che sia 'l mondo indi distrutto.

E
quel che vedi ne l'arco declivo,
Guiglielmo fu, cui quella terra plora che piagne Carlo e Federigo vivo:

ora conosce come s'innamora

lo ciel del giusto rege, e al sembiante del suo fulgore il fa vedere ancora.

Chi crederebbe giu` nel mondo errante,

che Rifeo Troiano in questo tondo
fosse la quinta de le luci sante?

Ora conosce assai di quel che 'l mondo

veder non puo` de la divina grazia,
ben che sua vista non discerna il fondo>>.

Quale allodetta che 'n aere si spazia

prima cantando, e poi tace contenta
de l'ultima dolcezza che la sazia,

tal mi sembio` l'imago de la 'mprenta

de l'etterno piacere, al cui disio
ciascuna cosa qual ell'e` diventa.

E
avvegna ch'io fossi al dubbiar mio
li` quasi vetro a lo color ch'el veste, tempo aspettar tacendo non patio,

ma de la bocca, <<Che cose son queste?>>,

mi pinse con la forza del suo peso:
per ch'io di coruscar vidi gran feste.

Poi appresso, con l'occhio piu` acceso,

lo benedetto segno mi rispuose
per non tenermi in ammirar sospeso:

<<Io veggio che tu credi queste cose

perch'io le dico, ma non vedi come;
si` che, se son credute, sono ascose.

Fai come quei che la cosa per nome

apprende ben, ma la sua quiditate
veder non puo` se altri non la prome.

Regnum celorum violenza pate

da caldo amore e da viva speranza,
che vince la divina volontate:

non a guisa che l'omo a l'om sobranza,

ma vince lei perche' vuole esser vinta, e, vinta, vince con sua beninanza.

La prima vita del ciglio e la quinta

ti fa maravigliar, perche' ne vedi
la region de li angeli dipinta.

D'i corpi suoi non uscir, come credi,

Gentili, ma Cristiani, in ferma fede
quel d'i passuri e quel d'i passi piedi.

Che' l'una de lo 'nferno, u' non si riede

gia` mai a buon voler, torno` a l'ossa; e cio` di viva spene fu mercede:

di viva spene, che mise la possa

ne' prieghi fatti a Dio per suscitarla, si` che potesse sua voglia esser mossa.

L'anima gloriosa onde si parla,

tornata ne la carne, in che fu poco,
credette in lui che potea aiutarla;

e
credendo s'accese in tanto foco
di vero amor, ch'a la morte seconda fu degna di venire a questo gioco.

L'altra, per grazia che da si` profonda

fontana stilla, che mai creatura
non pinse l'occhio infino a la prima onda,

tutto suo amor la` giu` pose a drittura:

per che, di grazia in grazia, Dio li aperse l'occhio a la nostra redenzion futura;

ond'ei credette in quella, e non sofferse

da indi il puzzo piu` del paganesmo;
e riprendiene le genti perverse.

Quelle tre donne li fur per battesmo

che tu vedesti da la destra rota,
dinanzi al battezzar piu` d'un millesmo.

O
predestinazion, quanto remota
e` la radice tua da quelli aspetti che la prima cagion non veggion tota!
E
voi, mortali, tenetevi stretti
a giudicar; che' noi, che Dio vedemo, non conosciamo ancor tutti li eletti;

ed enne dolce cosi` fatto scemo,

perche' il ben nostro in questo ben s'affina, che quel che vole Iddio, e noi volemo>>.

Cosi` da quella imagine divina,

per farmi chiara la mia corta vista,
data mi fu soave medicina.

E
come a buon cantor buon citarista
fa seguitar lo guizzo de la corda, in che piu` di piacer lo canto acquista,

si`, mentre ch'e' parlo`, si` mi ricorda

ch'io vidi le due luci benedette,
pur come batter d'occhi si concorda,

con le parole mover le fiammette.


Paradiso: Canto XXI


Gia` eran li occhi miei rifissi al volto

de la mia donna, e l'animo con essi,
e da ogne altro intento s'era tolto.

E
quella non ridea; ma <<S'io ridessi>>, mi comincio`, <<tu ti faresti quale fu Semele` quando di cener fessi;

che' la bellezza mia, che per le scale

de l'etterno palazzo piu` s'accende,
com'hai veduto, quanto piu` si sale,

se non si temperasse, tanto splende,

che 'l tuo mortal podere, al suo fulgore, sarebbe fronda che trono scoscende.

Noi sem levati al settimo splendore,

che sotto 'l petto del Leone ardente
raggia mo misto giu` del suo valore.

Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,

e fa di quelli specchi a la figura
che 'n questo specchio ti sara` parvente>>.

Qual savesse qual era la pastura

del viso mio ne l'aspetto beato
quand'io mi trasmutai ad altra cura,

conoscerebbe quanto m'era a grato

ubidire a la mia celeste scorta,
contrapesando l'un con l'altro lato.

Dentro al cristallo che 'l vocabol porta,

cerchiando il mondo, del suo caro duce sotto cui giacque ogne malizia morta,

di color d'oro in che raggio traluce

vid'io uno scaleo eretto in suso
tanto, che nol seguiva la mia luce.

Vidi anche per li gradi scender giuso

tanti splendor, ch'io pensai ch'ogne lume che par nel ciel, quindi fosse diffuso.

E
come, per lo natural costume,
le pole insieme, al cominciar del giorno, si movono a scaldar le fredde piume;

poi altre vanno via sanza ritorno,

altre rivolgon se' onde son mosse,
e altre roteando fan soggiorno;

tal modo parve me che quivi fosse

in quello sfavillar che 'nsieme venne, si` come in certo grado si percosse.

E
quel che presso piu` ci si ritenne,
si fe' si` chiaro, ch'io dicea pensando: 'Io veggio ben l'amor che tu m'accenne.

Ma quella ond'io aspetto il come e 'l quando

del dire e del tacer, si sta; ond'io,
contra 'l disio, fo ben ch'io non dimando'.

Per ch'ella, che vedea il tacer mio

nel veder di colui che tutto vede,
mi disse: <<Solvi il tuo caldo disio>>.

E
io incominciai: <<La mia mercede non mi fa degno de la tua risposta; ma per colei che 'l chieder mi concede,

vita beata che ti stai nascosta

dentro a la tua letizia, fammi nota
la cagion che si` presso mi t'ha posta;

e
di' perche' si tace in questa rota
la dolce sinfonia di paradiso, che giu` per l'altre suona si` divota>>.

<<Tu hai l'udir mortal si` come il viso>>,

rispuose a me; <<onde qui non si canta per quel che Beatrice non ha riso.

Giu` per li gradi de la scala santa

discesi tanto sol per farti festa
col dire e con la luce che mi ammanta;

ne' piu` amor mi fece esser piu` presta;

che' piu` e tanto amor quinci su` ferve, si` come il fiammeggiar ti manifesta.

Ma l'alta carita`, che ci fa serve

pronte al consiglio che 'l mondo governa, sorteggia qui si` come tu osserve>>.

<<Io veggio ben>>, diss'io, <<sacra lucerna,

come libero amore in questa corte
basta a seguir la provedenza etterna;

ma questo e` quel ch'a cerner mi par forte,

perche' predestinata fosti sola
a questo officio tra le tue consorte>>.

Ne' venni prima a l'ultima parola,

che del suo mezzo fece il lume centro, girando se' come veloce mola;

poi rispuose l'amor che v'era dentro:

<<Luce divina sopra me s'appunta, penetrando per questa in ch'io m'inventro,

la cui virtu`, col mio veder congiunta,

mi leva sopra me tanto, ch'i' veggio
la somma essenza de la quale e` munta.

Quinci vien l'allegrezza ond'io fiammeggio;

per ch'a la vista mia, quant'ella e` chiara, la chiarita` de la fiamma pareggio.

Ma quell'alma nel ciel che piu` si schiara,

quel serafin che 'n Dio piu` l'occhio ha fisso, a la dimanda tua non satisfara,

pero` che si` s'innoltra ne lo abisso

de l'etterno statuto quel che chiedi,
che da ogne creata vista e` scisso.

E
al mondo mortal, quando tu riedi,
questo rapporta, si` che non presumma a tanto segno piu` mover li piedi.

La mente, che qui luce, in terra fumma;

onde riguarda come puo` la` giue
quel che non pote perche' 'l ciel l'assumma>>.

Si` mi prescrisser le parole sue,

ch'io lasciai la quistione e mi ritrassi a dimandarla umilmente chi fue.

<<Tra ' due liti d'Italia surgon sassi,

e non molto distanti a la tua patria,
tanto che ' troni assai suonan piu` bassi,

e
fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale e` consecrato un ermo, che suole esser disposto a sola latria>>.

Cosi` ricominciommi il terzo sermo;

e poi, continuando, disse: <<Quivi al servigio di Dio mi fe' si` fermo,

che pur con cibi di liquor d'ulivi

lievemente passava caldi e geli,
contento ne' pensier contemplativi.

Render solea quel chiostro a questi cieli

fertilemente; e ora e` fatto vano,
si` che tosto convien che si riveli.

In quel loco fu' io Pietro Damiano,

e Pietro Peccator fu' ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.

Poca vita mortal m'era rimasa,

quando fui chiesto e tratto a quel cappello, che pur di male in peggio si travasa.

Venne Cefas e venne il gran vasello

de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
prendendo il cibo da qualunque ostello.

Or voglion quinci e quindi chi rincalzi

li moderni pastori e chi li meni,
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.

Cuopron d'i manti loro i palafreni,

si` che due bestie van sott'una pelle: oh pazienza che tanto sostieni!>>.

A
questa voce vid'io piu` fiammelle
di grado in grado scendere e girarsi, e ogne giro le facea piu` belle.

Dintorno a questa vennero e fermarsi,

e fero un grido di si` alto suono,
che non potrebbe qui assomigliarsi;

ne' io lo 'ntesi, si` mi vinse il tuono.


Paradiso: Canto XXII


Oppresso di stupore, a la mia guida

mi volsi, come parvol che ricorre
sempre cola` dove piu` si confida;

e
quella, come madre che soccorre
subito al figlio palido e anelo con la sua voce, che 'l suol ben disporre,
mi disse
<<Non sai tu che tu se' in cielo? e non sai tu che 'l cielo e` tutto santo, e cio` che ci si fa vien da buon zelo?

Come t'avrebbe trasmutato il canto,

e io ridendo, mo pensar lo puoi,
poscia che 'l grido t'ha mosso cotanto;

nel qual, se 'nteso avessi i prieghi suoi,

gia` ti sarebbe nota la vendetta
che tu vedrai innanzi che tu muoi.

La spada di qua su` non taglia in fretta

ne' tardo, ma' ch'al parer di colui
che disiando o temendo l'aspetta.

Ma rivolgiti omai inverso altrui;

ch'assai illustri spiriti vedrai,
se com'io dico l'aspetto redui>>.

Come a lei piacque, li occhi ritornai,

e vidi cento sperule che 'nsieme
piu` s'abbellivan con mutui rai.

Io stava come quei che 'n se' repreme

la punta del disio, e non s'attenta
di domandar, si` del troppo si teme;

e
la maggiore e la piu` luculenta
di quelle margherite innanzi fessi, per far di se' la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi'
<<Se tu vedessi com'io la carita` che tra noi arde, li tuoi concetti sarebbero espressi.

Ma perche' tu, aspettando, non tarde

a l'alto fine, io ti faro` risposta
pur al pensier, da che si` ti riguarde.

Quel monte a cui Cassino e` ne la costa

fu frequentato gia` in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta;

e
quel son io che su` vi portai prima
lo nome di colui che 'n terra addusse la verita` che tanto ci soblima;
e
tanta grazia sopra me relusse,
ch'io ritrassi le ville circunstanti da l'empio colto che 'l mondo sedusse.

Questi altri fuochi tutti contemplanti

uomini fuoro, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e ' frutti santi.

Qui e` Maccario, qui e` Romoaldo,

qui son li frati miei che dentro ai chiostri fermar li piedi e tennero il cor saldo>>.

E
io a lui: <<L'affetto che dimostri meco parlando, e la buona sembianza ch'io veggio e noto in tutti li ardor vostri,

cosi` m'ha dilatata mia fidanza,

come 'l sol fa la rosa quando aperta
tanto divien quant'ell'ha di possanza.

Pero` ti priego, e tu, padre, m'accerta

s'io posso prender tanta grazia, ch'io ti veggia con imagine scoverta>>.

Ond'elli
<<Frate, il tuo alto disio s'adempiera` in su l'ultima spera, ove s'adempion tutti li altri e 'l mio.

Ivi e` perfetta, matura e intera

ciascuna disianza; in quella sola
e` ogne parte la` ove sempr'era,

perche' non e` in loco e non s'impola;

e nostra scala infino ad essa varca,
onde cosi` dal viso ti s'invola.

Infin la` su` la vide il patriarca

Iacobbe porger la superna parte,
quando li apparve d'angeli si` carca.

Ma, per salirla, mo nessun diparte

da terra i piedi, e la regola mia
rimasa e` per danno de le carte.

Le mura che solieno esser badia

fatte sono spelonche, e le cocolle
sacca son piene di farina ria.

Ma grave usura tanto non si tolle

contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto che fa il cor de' monaci si` folle;

che' quantunque la Chiesa guarda, tutto

e` de la gente che per Dio dimanda;
non di parenti ne' d'altro piu` brutto.

La carne d'i mortali e` tanto blanda,

che giu` non basta buon cominciamento
dal nascer de la quercia al far la ghianda.

Pier comincio` sanz'oro e sanz'argento,

e io con orazione e con digiuno,
e Francesco umilmente il suo convento;

e
se guardi 'l principio di ciascuno,
poscia riguardi la` dov'e` trascorso, tu vederai del bianco fatto bruno.

Veramente Iordan volto retrorso

piu` fu, e 'l mar fuggir, quando Dio volse, mirabile a veder che qui 'l soccorso>>.

Cosi` mi disse, e indi si raccolse

al suo collegio, e 'l collegio si strinse; poi, come turbo, in su` tutto s'avvolse.

La dolce donna dietro a lor mi pinse

con un sol cenno su per quella scala,
si` sua virtu` la mia natura vinse;

ne' mai qua giu` dove si monta e cala

naturalmente, fu si` ratto moto
ch'agguagliar si potesse a la mia ala.

S'io torni mai, lettore, a quel divoto

triunfo per lo quale io piango spesso
le mie peccata e 'l petto mi percuoto,

tu non avresti in tanto tratto e messo

nel foco il dito, in quant'io vidi 'l segno che segue il Tauro e fui dentro da esso.

O
gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtu`, dal quale io riconosco tutto, qual che si sia, il mio ingegno,

con voi nasceva e s'ascondeva vosco

quelli ch'e` padre d'ogne mortal vita, quand'io senti' di prima l'aere tosco;

e
poi, quando mi fu grazia largita
d'entrar ne l'alta rota che vi gira, la vostra region mi fu sortita.
A
voi divotamente ora sospira
l'anima mia, per acquistar virtute al passo forte che a se' la tira.

<<Tu se' si` presso a l'ultima salute>>,

comincio` Beatrice, <<che tu dei aver le luci tue chiare e acute;

e
pero`, prima che tu piu` t'inlei,
rimira in giu`, e vedi quanto mondo sotto li piedi gia` esser ti fei;

si` che 'l tuo cor, quantunque puo`, giocondo

s'appresenti a la turba triunfante
che lieta vien per questo etera tondo>>.

Col viso ritornai per tutte quante

le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante;

e
quel consiglio per migliore approbo
che l'ha per meno; e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo.

Vidi la figlia di Latona incensa

sanza quell'ombra che mi fu cagione
per che gia` la credetti rara e densa.

L'aspetto del tuo nato, Iperione,

quivi sostenni, e vidi com'si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.

Quindi m'apparve il temperar di Giove

tra 'l padre e 'l figlio: e quindi mi fu chiaro il variar che fanno di lor dove;

e
tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci e come sono in distante riparo.

L'aiuola che ci fa tanto feroci,

volgendom'io con li etterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci;

poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.


Paradiso: Canto XXIII


Come l'augello, intra l'amate fronde,

posato al nido de' suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde,

che, per veder li aspetti disiati

e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati,

previene il tempo in su aperta frasca,

e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l'alba nasca;

cosi` la donna mia stava eretta

e attenta, rivolta inver' la plaga
sotto la quale il sol mostra men fretta:

si` che, veggendola io sospesa e vaga,

fecimi qual e` quei che disiando
altro vorria, e sperando s'appaga.

Ma poco fu tra uno e altro quando,

del mio attender, dico, e del vedere
lo ciel venir piu` e piu` rischiarando;

e
Beatrice disse: <<Ecco le schiere del triunfo di Cristo e tutto 'l frutto ricolto del girar di queste spere!>>.

Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto,

e li occhi avea di letizia si` pieni,
che passarmen convien sanza costrutto.

Quale ne' plenilunii sereni

Trivia ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni,

vid'i' sopra migliaia di lucerne

un sol che tutte quante l'accendea,
come fa 'l nostro le viste superne;

e
per la viva luce trasparea
la lucente sustanza tanto chiara nel viso mio, che non la sostenea.

Oh Beatrice, dolce guida e cara!

Ella mi disse: <<Quel che ti sobranza e` virtu` da cui nulla si ripara.

Quivi e` la sapienza e la possanza

ch'apri` le strade tra 'l cielo e la terra, onde fu gia` si` lunga disianza>>.

Come foco di nube si diserra

per dilatarsi si` che non vi cape,
e fuor di sua natura in giu` s'atterra,

la mente mia cosi`, tra quelle dape

fatta piu` grande, di se' stessa uscio, e che si fesse rimembrar non sape.

<<Apri li occhi e riguarda qual son io;

tu hai vedute cose, che possente
se' fatto a sostener lo riso mio>>.

Io era come quei che si risente

di visione oblita e che s'ingegna
indarno di ridurlasi a la mente,

quand'io udi' questa proferta, degna

di tanto grato, che mai non si stingue del libro che 'l preterito rassegna.

Se mo sonasser tutte quelle lingue

che Polimnia con le suore fero
del latte lor dolcissimo piu` pingue,

per aiutarmi, al millesmo del vero

non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero;

e
cosi`, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema, come chi trova suo cammin riciso.

Ma chi pensasse il ponderoso tema

e l'omero mortal che se ne carca,
nol biasmerebbe se sott'esso trema:

non e` pareggio da picciola barca

quel che fendendo va l'ardita prora,
ne' da nocchier ch'a se' medesmo parca.

<<Perche' la faccia mia si` t'innamora,

che tu non ti rivolgi al bel giardino
che sotto i raggi di Cristo s'infiora?

Quivi e` la rosa in che 'l verbo divino

carne si fece; quivi son li gigli
al cui odor si prese il buon cammino>>.

Cosi` Beatrice; e io, che a' suoi consigli

tutto era pronto, ancora mi rendei
a la battaglia de' debili cigli.

Come a raggio di sol che puro mei

per fratta nube, gia` prato di fiori
vider, coverti d'ombra, li occhi miei;

vid'io cosi` piu` turbe di splendori,

folgorate di su` da raggi ardenti,
sanza veder principio di folgori.

O
benigna vertu` che si` li 'mprenti,
su` t'essaltasti, per largirmi loco a li occhi li` che non t'eran possenti.

Il nome del bel fior ch'io sempre invoco

e mane e sera, tutto mi ristrinse
l'animo ad avvisar lo maggior foco;

e
come ambo le luci mi dipinse
il quale e il quanto de la viva stella che la` su` vince come qua giu` vinse,

per entro il cielo scese una facella,

formata in cerchio a guisa di corona,
e cinsela e girossi intorno ad ella.

Qualunque melodia piu` dolce suona

qua giu` e piu` a se' l'anima tira,
parrebbe nube che squarciata tona,

comparata al sonar di quella lira

onde si coronava il bel zaffiro
del quale il ciel piu` chiaro s'inzaffira.

<<Io sono amore angelico, che giro

l'alta letizia che spira del ventre
che fu albergo del nostro disiro;

e
girerommi, donna del ciel, mentre
che seguirai tuo figlio, e farai dia piu` la spera suprema perche' li` entre>>.

Cosi` la circulata melodia

si sigillava, e tutti li altri lumi
facean sonare il nome di Maria.

Lo real manto di tutti i volumi

del mondo, che piu` ferve e piu` s'avviva ne l'alito di Dio e nei costumi,

avea sopra di noi l'interna riva

tanto distante, che la sua parvenza,
la` dov'io era, ancor non appariva:

pero` non ebber li occhi miei potenza

di seguitar la coronata fiamma
che si levo` appresso sua semenza.

E
come fantolin che 'nver' la mamma
tende le braccia, poi che 'l latte prese, per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma;

ciascun di quei candori in su` si stese

con la sua cima, si` che l'alto affetto ch'elli avieno a Maria mi fu palese.

Indi rimaser li` nel mio cospetto,

'Regina celi' cantando si` dolce,
che mai da me non si parti` 'l diletto.

Oh quanta e` l'uberta` che si soffolce

in quelle arche ricchissime che fuoro
a seminar qua giu` buone bobolce!

Quivi si vive e gode del tesoro

che s'acquisto` piangendo ne lo essilio di Babillon, ove si lascio` l'oro.

Quivi triunfa, sotto l'alto Filio

di Dio e di Maria, di sua vittoria,
e con l'antico e col novo concilio,

colui che tien le chiavi di tal gloria.


Paradiso: Canto XXIV


<<O sodalizio eletto a la gran cena

del benedetto Agnello, il qual vi ciba si`, che la vostra voglia e` sempre piena,

se per grazia di Dio questi preliba

di quel che cade de la vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba,

ponete mente a l'affezione immensa

e roratelo alquanto: voi bevete
sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa>>.

Cosi` Beatrice; e quelle anime liete

si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, a volte, a guisa di comete.

E
come cerchi in tempra d'oriuoli
si giran si`, che 'l primo a chi pon mente quieto pare, e l'ultimo che voli;

cosi` quelle carole, differente-

mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.

Di quella ch'io notai di piu` carezza

vid'io uscire un foco si` felice,
che nullo vi lascio` di piu` chiarezza;

e
tre fiate intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto divo, che la mia fantasia nol mi ridice.

Pero` salta la penna e non lo scrivo:

che' l'imagine nostra a cotai pieghe,
non che 'l parlare, e` troppo color vivo.

<<O santa suora mia che si` ne prieghe

divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi disleghe>>.

Poscia fermato, il foco benedetto

a la mia donna dirizzo` lo spiro,
che favello` cosi` com'i' ho detto.

Ed ella
<<O luce etterna del gran viro a cui Nostro Segnor lascio` le chiavi, ch'ei porto` giu`, di questo gaudio miro,

tenta costui di punti lievi e gravi,

come ti piace, intorno de la fede,
per la qual tu su per lo mare andavi.

S'elli ama bene e bene spera e crede,

non t'e` occulto, perche' 'l viso hai quivi dov'ogne cosa dipinta si vede;

ma perche' questo regno ha fatto civi

per la verace fede, a gloriarla,
di lei parlare e` ben ch'a lui arrivi>>.

Si` come il baccialier s'arma e non parla

fin che 'l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla,

cosi` m'armava io d'ogne ragione

mentre ch'ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione.

<<Di', buon Cristiano, fatti manifesto:

fede che e`?>>. Ond'io levai la fronte in quella luce onde spirava questo;

poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte

sembianze femmi perch'io spandessi
l'acqua di fuor del mio interno fonte.

<<La Grazia che mi da` ch'io mi confessi>>,

comincia' io, <<da l'alto primipilo, faccia li miei concetti bene espressi>>.

E
seguitai: <<Come 'l verace stilo ne scrisse, padre, del tuo caro frate che mise teco Roma nel buon filo,

fede e` sustanza di cose sperate

e argomento de le non parventi;
e questa pare a me sua quiditate>>.

Allora udi'
<<Dirittamente senti, se bene intendi perche' la ripuose tra le sustanze, e poi tra li argomenti>>.
E
io appresso: <<Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor parvenza, a li occhi di la` giu` son si` ascose,

che l'esser loro v'e` in sola credenza,

sopra la qual si fonda l'alta spene;
e pero` di sustanza prende intenza.

E
da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz'avere altra vista: pero` intenza d'argomento tene>>.
Allora udi'
<<Se quantunque s'acquista giu` per dottrina, fosse cosi` 'nteso, non li` avria loco ingegno di sofista>>.

Cosi` spiro` di quello amore acceso;

indi soggiunse: <<Assai bene e` trascorsa d'esta moneta gia` la lega e 'l peso;

ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa>>.

Ond'io: <<Si` ho, si` lucida e si` tonda, che nel suo conio nulla mi s'inforsa>>.

Appresso usci` de la luce profonda

che li` splendeva: <<Questa cara gioia sopra la quale ogne virtu` si fonda,

onde ti venne?>>. E io
<<La larga ploia de lo Spirito Santo, ch'e` diffusa in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia,

e` silogismo che la m'ha conchiusa

acutamente si`, che 'nverso d'ella
ogne dimostrazion mi pare ottusa>>.

Io udi' poi
<<L'antica e la novella proposizion che cosi` ti conchiude, perche' l'hai tu per divina favella?>>.
E
io: <<La prova che 'l ver mi dischiude, son l'opere seguite, a che natura non scalda ferro mai ne' batte incude>>.
Risposto fummi
<<Di', chi t'assicura che quell'opere fosser? Quel medesmo che vuol provarsi, non altri, il ti giura>>.

<<Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo>>,

diss'io, <<sanza miracoli, quest'uno e` tal, che li altri non sono il centesmo:

che' tu intrasti povero e digiuno

in campo, a seminar la buona pianta
che fu gia` vite e ora e` fatta pruno>>.

Finito questo, l'alta corte santa

risono` per le spere un 'Dio laudamo'
ne la melode che la` su` si canta.

E
quel baron che si` di ramo in ramo,
essaminando, gia` tratto m'avea, che a l'ultime fronde appressavamo,
ricomincio`
<<La Grazia, che donnea con la tua mente, la bocca t'aperse infino a qui come aprir si dovea,

si` ch'io approvo cio` che fuori emerse;

ma or conviene espremer quel che credi, e onde a la credenza tua s'offerse>>.

<<O santo padre, e spirito che vedi

cio` che credesti si`, che tu vincesti ver' lo sepulcro piu` giovani piedi>>,

comincia' io, <<tu vuo' ch'io manifesti

la forma qui del pronto creder mio,
e anche la cagion di lui chiedesti.

E
io rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto 'l ciel move, non moto, con amore e con disio;
e
a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi anche la verita` che quinci piove

per Moise`, per profeti e per salmi,

per l'Evangelio e per voi che scriveste poi che l'ardente Spirto vi fe' almi;

e
credo in tre persone etterne, e queste credo una essenza si` una e si` trina, che soffera congiunto 'sono' ed 'este'.

De la profonda condizion divina

ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
piu` volte l'evangelica dottrina.

Quest'e` 'l principio, quest'e` la favilla

che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla>>.

Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace,

da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch'el si tace;

cosi`, benedicendomi cantando,

tre volte cinse me, si` com'io tacqui, l'appostolico lume al cui comando

io avea detto: si` nel dir li piacqui!


Paradiso: Canto XXV


Se mai continga che 'l poema sacro

al quale ha posto mano e cielo e terra, si` che m'ha fatto per molti anni macro,

vinca la crudelta` che fuor mi serra

del bello ovile ov'io dormi' agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;

con altra voce omai, con altro vello

ritornero` poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prendero` 'l cappello;

pero` che ne la fede, che fa conte

l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi
Pietro per lei si` mi giro` la fronte.

Indi si mosse un lume verso noi

di quella spera ond'usci` la primizia
che lascio` Cristo d'i vicari suoi;

e
la mia donna, piena di letizia,
mi disse: <<Mira, mira: ecco il barone per cui la` giu` si vicita Galizia>>.

Si` come quando il colombo si pone

presso al compagno, l'uno a l'altro pande, girando e mormorando, l'affezione;

cosi` vid'io l'un da l'altro grande

principe glorioso essere accolto,
laudando il cibo che la` su` li prande.

Ma poi che 'l gratular si fu assolto,

tacito coram me ciascun s'affisse,
ignito si` che vincea 'l mio volto.

Ridendo allora Beatrice disse:

<<Inclita vita per cui la larghezza de la nostra basilica si scrisse,

fa risonar la spene in questa altezza:

tu sai, che tante fiate la figuri,
quante Iesu` ai tre fe' piu` carezza>>.

<<Leva la testa e fa che t'assicuri:

che cio` che vien qua su` del mortal mondo, convien ch'ai nostri raggi si maturi>>.

Questo conforto del foco secondo

mi venne; ond'io levai li occhi a' monti che li 'ncurvaron pria col troppo pondo.

<<Poi che per grazia vuol che tu t'affronti

lo nostro Imperadore, anzi la morte,
ne l'aula piu` secreta co' suoi conti,

si` che, veduto il ver di questa corte,

la spene, che la` giu` bene innamora,
in te e in altrui di cio` conforte,

di' quel ch'ell'e`, di' come se ne 'nfiora

la mente tua, e di` onde a te venne>>. Cosi` segui` 'l secondo lume ancora.

E
quella pia che guido` le penne
de le mie ali a cosi` alto volo, a la risposta cosi` mi prevenne:

<<La Chiesa militante alcun figliuolo

non ha con piu` speranza, com'e` scritto nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:

pero` li e` conceduto che d'Egitto

vegna in Ierusalemme per vedere,
anzi che 'l militar li sia prescritto.

Li altri due punti, che non per sapere

son dimandati, ma perch'ei rapporti
quanto questa virtu` t'e` in piacere,

a
lui lasc'io, che' non li saran forti
ne' di iattanza; ed elli a cio` risponda, e la grazia di Dio cio` li comporti>>.

Come discente ch'a dottor seconda

pronto e libente in quel ch'elli e` esperto, perche' la sua bonta` si disasconda,

<<Spene>>, diss'io, <<e` uno attender certo

de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto.

Da molte stelle mi vien questa luce;

ma quei la distillo` nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce.

'Sperino in te', ne la sua teodia

dice, 'color che sanno il nome tuo':
e chi nol sa, s'elli ha la fede mia?

Tu mi stillasti, con lo stillar suo,

ne la pistola poi; si` ch'io son pieno, e in altrui vostra pioggia repluo>>.

Mentr' io diceva, dentro al vivo seno

di quello incendio tremolava un lampo
subito e spesso a guisa di baleno.

Indi spiro`
<<L'amore ond'io avvampo ancor ver' la virtu` che mi seguette infin la palma e a l'uscir del campo,

vuol ch'io respiri a te che ti dilette

di lei; ed emmi a grato che tu diche
quello che la speranza ti 'mpromette>>.

E
io: <<Le nove e le scritture antiche pongon lo segno, ed esso lo mi addita, de l'anime che Dio s'ha fatte amiche.

Dice Isaia che ciascuna vestita

ne la sua terra fia di doppia vesta:
e la sua terra e` questa dolce vita;

e
'l tuo fratello assai vie piu` digesta, la` dove tratta de le bianche stole, questa revelazion ci manifesta>>.
E
prima, appresso al fin d'este parole,
'Sperent in te' di sopr'a noi s'udi`; a che rispuoser tutte le carole.

Poscia tra esse un lume si schiari`

si` che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo, l'inverno avrebbe un mese d'un sol di`.

E
come surge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore a la novizia, non per alcun fallo,

cosi` vid'io lo schiarato splendore

venire a' due che si volgieno a nota
qual conveniesi al loro ardente amore.

Misesi li` nel canto e ne la rota;

e la mia donna in lor tenea l'aspetto, pur come sposa tacita e immota.

<<Questi e` colui che giacque sopra 'l petto

del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto>>.

La donna mia cosi`; ne' pero` piue

mosser la vista sua di stare attenta
poscia che prima le parole sue.

Qual e` colui ch'adocchia e s'argomenta

di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa;

tal mi fec'io a quell'ultimo foco

mentre che detto fu: <<Perche' t'abbagli per veder cosa che qui non ha loco?

In terra e` terra il mio corpo, e saragli

tanto con li altri, che 'l numero nostro con l'etterno proposito s'agguagli.

Con le due stole nel beato chiostro

son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro>>.

A
questa voce l'infiammato giro
si quieto` con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro,

si` come, per cessar fatica o rischio,

li remi, pria ne l'acqua ripercossi,
tutti si posano al sonar d'un fischio.

Ahi quanto ne la mente mi commossi,

quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter veder, benche' io fossi

presso di lei, e nel mondo felice!


Paradiso: Canto XXVI


Mentr'io dubbiava per lo viso spento,

de la fulgida fiamma che lo spense
usci` un spiro che mi fece attento,

dicendo
<<Intanto che tu ti risense de la vista che hai in me consunta, ben e` che ragionando la compense.

Comincia dunque; e di' ove s'appunta

l'anima tua, e fa' ragion che sia
la vista in te smarrita e non defunta:

perche' la donna che per questa dia

region ti conduce, ha ne lo sguardo
la virtu` ch'ebbe la man d'Anania>>.

Io dissi
<<Al suo piacere e tosto e tardo vegna remedio a li occhi, che fuor porte quand'ella entro` col foco ond'io sempr'ardo.

Lo ben che fa contenta questa corte,

Alfa e O e` di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forte>>.

Quella medesma voce che paura

tolta m'avea del subito abbarbaglio,
di ragionare ancor mi mise in cura;

e disse: <<Certo a piu` angusto vaglio

ti conviene schiarar
dicer convienti
chi drizzo` l'arco tuo a tal berzaglio>>.
E
io: <<Per filosofici argomenti
e per autorita` che quinci scende cotale amor convien che in me si 'mprenti:

che' 'l bene, in quanto ben, come s'intende,

cosi` accende amore, e tanto maggio
quanto piu` di bontate in se' comprende.

Dunque a l'essenza ov'e` tanto avvantaggio,

che ciascun ben che fuor di lei si trova altro non e` ch'un lume di suo raggio,

piu` che in altra convien che si mova

la mente, amando, di ciascun che cerne il vero in che si fonda questa prova.

Tal vero a l'intelletto mio sterne

colui che mi dimostra il primo amore
di tutte le sustanze sempiterne.

Sternel la voce del verace autore,

che dice a Moise`, di se' parlando:
'Io ti faro` vedere ogne valore'.

Sternilmi tu ancora, incominciando

l'alto preconio che grida l'arcano
di qui la` giu` sovra ogne altro bando>>.

E
io udi': <<Per intelletto umano
e per autoritadi a lui concorde d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.

Ma di' ancor se tu senti altre corde

tirarti verso lui, si` che tu suone
con quanti denti questo amor ti morde>>.

Non fu latente la santa intenzione

de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi dove volea menar mia professione.

Pero` ricominciai
<<Tutti quei morsi che posson far lo cor volgere a Dio, a la mia caritate son concorsi:

che' l'essere del mondo e l'esser mio,

la morte ch'el sostenne perch'io viva, e quel che spera ogne fedel com'io,

con la predetta conoscenza viva,

tratto m'hanno del mar de l'amor torto, e del diritto m'han posto a la riva.

Le fronde onde s'infronda tutto l'orto

de l'ortolano etterno, am'io cotanto
quanto da lui a lor di bene e` porto>>.

Si` com'io tacqui, un dolcissimo canto

risono` per lo cielo, e la mia donna
dicea con li altri: <<Santo, santo, santo!>>.

E
come a lume acuto si disonna
per lo spirto visivo che ricorre a lo splendor che va di gonna in gonna,
e
lo svegliato cio` che vede aborre,
si` nescia e` la subita vigilia fin che la stimativa non soccorre;

cosi` de li occhi miei ogni quisquilia

fugo` Beatrice col raggio d'i suoi,
che rifulgea da piu` di mille milia:

onde mei che dinanzi vidi poi;

e quasi stupefatto domandai
d'un quarto lume ch'io vidi tra noi.

E
la mia donna: <<Dentro da quei rai vagheggia il suo fattor l'anima prima che la prima virtu` creasse mai>>.

Come la fronda che flette la cima

nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtu` che la soblima,

fec'io in tanto in quant'ella diceva,

stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ond'io ardeva.

E
cominciai: <<O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico a cui ciascuna sposa e` figlia e nuro,

divoto quanto posso a te supplico

perche' mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico>>.

Talvolta un animal coverto broglia,

si` che l'affetto convien che si paia
per lo seguir che face a lui la 'nvoglia;

e
similmente l'anima primaia
mi facea trasparer per la coverta quant'ella a compiacermi venia gaia.
Indi spiro`
<<Sanz'essermi proferta da te, la voglia tua discerno meglio che tu qualunque cosa t'e` piu` certa;

perch'io la veggio nel verace speglio

che fa di se' pareglio a l'altre cose, e nulla face lui di se' pareglio.

Tu vuogli udir quant'e` che Dio mi puose

ne l'eccelso giardino, ove costei
a cosi` lunga scala ti dispuose,

e
quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno, e l'idioma ch'usai e che fei.

Or, figluol mio, non il gustar del legno

fu per se' la cagion di tanto essilio, ma solamente il trapassar del segno.

Quindi onde mosse tua donna Virgilio,

quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio;

e
vidi lui tornare a tutt'i lumi
de la sua strada novecento trenta fiate, mentre ch'io in terra fu' mi.

La lingua ch'io parlai fu tutta spenta

innanzi che a l'ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembrot attenta:

che' nullo effetto mai razionabile,

per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile.

Opera naturale e` ch'uom favella;

ma cosi` o cosi`, natura lascia
poi fare a voi secondo che v'abbella.

Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia,

I s'appellava in terra il sommo bene
onde vien la letizia che mi fascia;

e
El si chiamo` poi: e cio` convene,
che' l'uso d'i mortali e` come fronda in ramo, che sen va e altra vene.

Nel monte che si leva piu` da l'onda,

fu' io, con vita pura e disonesta,
da la prim'ora a quella che seconda,

come 'l sol muta quadra, l'ora sesta>>.


Paradiso: Canto XXVII


'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo',

comincio`, 'gloria!', tutto 'l paradiso, si` che m'inebriava il dolce canto.

Cio` ch'io vedeva mi sembiava un riso

de l'universo; per che mia ebbrezza
intrava per l'udire e per lo viso.

Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!

oh vita integra d'amore e di pace!
oh sanza brama sicura ricchezza!

Dinanzi a li occhi miei le quattro face

stavano accese, e quella che pria venne incomincio` a farsi piu` vivace,

e
tal ne la sembianza sua divenne,
qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne.

La provedenza, che quivi comparte

vice e officio, nel beato coro
silenzio posto avea da ogne parte,

quand'io udi'
<<Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, che', dicend'io, vedrai trascolorar tutti costoro.

Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio,

il luogo mio, il luogo mio, che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,

fatt'ha del cimitero mio cloaca

del sangue e de la puzza; onde 'l perverso che cadde di qua su`, la` giu` si placa>>.

Di quel color che per lo sole avverso

nube dipigne da sera e da mane,
vid'io allora tutto 'l ciel cosperso.

E
come donna onesta che permane
di se' sicura, e per l'altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane,

cosi` Beatrice trasmuto` sembianza;

e tale eclissi credo che 'n ciel fue,
quando pati` la supprema possanza.

Poi procedetter le parole sue

con voce tanto da se' trasmutata,
che la sembianza non si muto` piue:

<<Non fu la sposa di Cristo allevata

del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d'oro usata;

ma per acquisto d'esto viver lieto

e Sisto e Pio e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.

Non fu nostra intenzion ch'a destra mano

d'i nostri successor parte sedesse,
parte da l'altra del popol cristiano;

ne' che le chiavi che mi fuor concesse,

divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;

ne' ch'io fossi figura di sigillo

a privilegi venduti e mendaci,
ond'io sovente arrosso e disfavillo.

In vesta di pastor lupi rapaci

si veggion di qua su` per tutti i paschi:

  • difesa di Dio, perche' pur giaci?

Del sangue nostro Caorsini e Guaschi

s'apparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi!

Ma l'alta provedenza, che con Scipio

difese a Roma la gloria del mondo,
soccorra` tosto, si` com'io concipio;

e
tu, figliuol, che per lo mortal pondo
ancor giu` tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch'io non ascondo>>.

Si` come di vapor gelati fiocca

in giuso l'aere nostro, quando 'l corno de la capra del ciel col sol si tocca,

in su` vid'io cosi` l'etera addorno

farsi e fioccar di vapor triunfanti
che fatto avien con noi quivi soggiorno.

Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,

e segui` fin che 'l mezzo, per lo molto, li tolse il trapassar del piu` avanti.

Onde la donna, che mi vide assolto

de l'attendere in su`, mi disse: <<Adima il viso e guarda come tu se' volto>>.

Da l'ora ch'io avea guardato prima

i' vidi mosso me per tutto l'arco
che fa dal mezzo al fine il primo clima;

si` ch'io vedea di la` da Gade il varco

folle d'Ulisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco.

E
piu` mi fora discoverto il sito
di questa aiuola; ma 'l sol procedea sotto i mie' piedi un segno e piu` partito.

La mente innamorata, che donnea

con la mia donna sempre, di ridure
ad essa li occhi piu` che mai ardea;

e
se natura o arte fe' pasture
da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o ne le sue pitture,

tutte adunate, parrebber niente

ver' lo piacer divin che mi refulse,
quando mi volsi al suo viso ridente.

E
la virtu` che lo sguardo m'indulse,
del bel nido di Leda mi divelse, e nel ciel velocissimo m'impulse.

Le parti sue vivissime ed eccelse

si` uniforme son, ch'i' non so dire
qual Beatrice per loco mi scelse.

Ma ella, che vedea 'l mio disire,

incomincio`, ridendo tanto lieta,
che Dio parea nel suo volto gioire:

<<La natura del mondo, che quieta

il mezzo e tutto l'altro intorno move, quinci comincia come da sua meta;

e
questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che s'accende l'amor che 'l volge e la virtu` ch'ei piove.

Luce e amor d'un cerchio lui comprende,

si` come questo li altri; e quel precinto colui che 'l cinge solamente intende.

Non e` suo moto per altro distinto,

ma li altri son mensurati da questo,
si` come diece da mezzo e da quinto;

e
come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri le fronde, omai a te puo` esser manifesto.

Oh cupidigia che i mortali affonde

si` sotto te, che nessuno ha podere
di trarre li occhi fuor de le tue onde!

Ben fiorisce ne li uomini il volere;

ma la pioggia continua converte
in bozzacchioni le sosine vere.

Fede e innocenza son reperte

solo ne' parvoletti; poi ciascuna
pria fugge che le guance sian coperte.

Tale, balbuziendo ancor, digiuna,

che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna;

e
tal, balbuziendo, ama e ascolta
la madre sua, che, con loquela intera, disia poi di vederla sepolta.

Cosi` si fa la pelle bianca nera

nel primo aspetto de la bella figlia
di quel ch'apporta mane e lascia sera.

Tu, perche' non ti facci maraviglia,

pensa che 'n terra non e` chi governi; onde si` svia l'umana famiglia.

Ma prima che gennaio tutto si sverni

per la centesma ch'e` la` giu` negletta, raggeran si` questi cerchi superni,

che la fortuna che tanto s'aspetta,

le poppe volgera` u' son le prore,
si` che la classe correra` diretta;

e vero frutto verra` dopo 'l fiore>>.


Paradiso: Canto XXVIII


Poscia che 'ncontro a la vita presente

d'i miseri mortali aperse 'l vero
quella che 'mparadisa la mia mente,

come in lo specchio fiamma di doppiero

vede colui che se n'alluma retro,
prima che l'abbia in vista o in pensiero,

e
se' rivolge per veder se 'l vetro
li dice il vero, e vede ch'el s'accorda con esso come nota con suo metro;

cosi` la mia memoria si ricorda

ch'io feci riguardando ne' belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda.

E
com'io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da cio` che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s'adocchi,

un punto vidi che raggiava lume

acuto si`, che 'l viso ch'elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;

e
quale stella par quinci piu` poca,
parrebbe luna, locata con esso come stella con stella si colloca.

Forse cotanto quanto pare appresso

alo cigner la luce che 'l dipigne
quando 'l vapor che 'l porta piu` e` spesso,

distante intorno al punto un cerchio d'igne

si girava si` ratto, ch'avria vinto
quel moto che piu` tosto il mondo cigne;

e
questo era d'un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.

Sopra seguiva il settimo si` sparto

gia` di larghezza, che 'l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto.

Cosi` l'ottavo e 'l nono; e chiascheduno

piu` tardo si movea, secondo ch'era
in numero distante piu` da l'uno;

e
quello avea la fiamma piu` sincera
cui men distava la favilla pura, credo, pero` che piu` di lei s'invera.

La donna mia, che mi vedea in cura

forte sospeso, disse: <<Da quel punto depende il cielo e tutta la natura.

Mira quel cerchio che piu` li e` congiunto;

e sappi che 'l suo muovere e` si` tosto per l'affocato amore ond'elli e` punto>>.

E
io a lei: <<Se 'l mondo fosse posto con l'ordine ch'io veggio in quelle rote, sazio m'avrebbe cio` che m'e` proposto;

ma nel mondo sensibile si puote

veder le volte tanto piu` divine,
quant'elle son dal centro piu` remote.

Onde, se 'l mio disir dee aver fine

in questo miro e angelico templo
che solo amore e luce ha per confine,

udir convienmi ancor come l'essemplo

e l'essemplare non vanno d'un modo,
che' io per me indarno a cio` contemplo>>.

<<Se li tuoi diti non sono a tal nodo

sufficienti, non e` maraviglia:
tanto, per non tentare, e` fatto sodo!>>.

Cosi` la donna mia; poi disse
<<Piglia quel ch'io ti dicero`, se vuo' saziarti; e intorno da esso t'assottiglia.

Li cerchi corporai sono ampi e arti

secondo il piu` e 'l men de la virtute che si distende per tutte lor parti.

Maggior bonta` vuol far maggior salute;

maggior salute maggior corpo cape,
s'elli ha le parti igualmente compiute.

Dunque costui che tutto quanto rape

l'altro universo seco, corrisponde
al cerchio che piu` ama e che piu` sape:

per che, se tu a la virtu` circonde

la tua misura, non a la parvenza
de le sustanze che t'appaion tonde,

tu vederai mirabil consequenza

di maggio a piu` e di minore a meno,
in ciascun cielo, a sua intelligenza>>.

Come rimane splendido e sereno

l'emisperio de l'aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond'e` piu` leno,

per che si purga e risolve la roffia

che pria turbava, si` che 'l ciel ne ride con le bellezze d'ogne sua paroffia;

cosi` fec'io, poi che mi provide

la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide.

E
poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla che bolle, come i cerchi sfavillaro.

L'incendio suo seguiva ogne scintilla;

ed eran tante, che 'l numero loro
piu` che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla.

Io sentiva osannar di coro in coro

al punto fisso che li tiene a li ubi,
e terra` sempre, ne' quai sempre fuoro.

E
quella che vedea i pensier dubi
ne la mia mente, disse: <<I cerchi primi t'hanno mostrato Serafi e Cherubi.

Cosi` veloci seguono i suoi vimi,

per somigliarsi al punto quanto ponno; e posson quanto a veder son soblimi.

Quelli altri amori che 'ntorno li vonno,

si chiaman Troni del divino aspetto,
per che 'l primo ternaro terminonno;

e
dei saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta si profonda nel vero in che si queta ogne intelletto.

Quinci si puo` veder come si fonda

l'essere beato ne l'atto che vede,
non in quel ch'ama, che poscia seconda;

e
del vedere e` misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia: cosi` di grado in grado si procede.

L'altro ternaro, che cosi` germoglia

in questa primavera sempiterna
che notturno Ariete non dispoglia,

perpetualemente 'Osanna' sberna

con tre melode, che suonano in tree
ordini di letizia onde s'interna.

In essa gerarcia son l'altre dee:

prima Dominazioni, e poi Virtudi;
l'ordine terzo di Podestadi ee.

Poscia ne' due penultimi tripudi

Principati e Arcangeli si girano;
l'ultimo e` tutto d'Angelici ludi.

Questi ordini di su` tutti s'ammirano,

e di giu` vincon si`, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano.

E
Dionisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise, che li nomo` e distinse com'io.

Ma Gregorio da lui poi si divise;

onde, si` tosto come li occhi aperse
in questo ciel, di se' medesmo rise.

E
se tanto secreto ver proferse
mortale in terra, non voglio ch'ammiri; che' chi 'l vide qua su` gliel discoperse

con altro assai del ver di questi giri>>.


Paradiso: Canto XXIX


Quando ambedue li figli di Latona,

coperti del Montone e de la Libra,
fanno de l'orizzonte insieme zona,

quant'e` dal punto che 'l cenit inlibra

infin che l'uno e l'altro da quel cinto, cambiando l'emisperio, si dilibra,

tanto, col volto di riso dipinto,

si tacque Beatrice, riguardando
fiso nel punto che m'avea vinto.

Poi comincio`
<<Io dico, e non dimando, quel che tu vuoli udir, perch'io l'ho visto la` 've s'appunta ogne ubi e ogne quando.

Non per aver a se' di bene acquisto,

ch'esser non puo`, ma perche' suo splendore potesse, risplendendo, dir "Subsisto",

in sua etternita` di tempo fore,

fuor d'ogne altro comprender, come i piacque, s'aperse in nuovi amor l'etterno amore.

Ne' prima quasi torpente si giacque;

che' ne' prima ne' poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest'acque.

Forma e materia, congiunte e purette,

usciro ad esser che non avia fallo,
come d'arco tricordo tre saette.

E
come in vetro, in ambra o in cristallo raggio resplende si`, che dal venire a l'esser tutto non e` intervallo,

cosi` 'l triforme effetto del suo sire

ne l'esser suo raggio` insieme tutto
sanza distinzione in essordire.

Concreato fu ordine e costrutto

a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto;

pura potenza tenne la parte ima;

nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che gia` mai non si divima.

Ieronimo vi scrisse lungo tratto

di secoli de li angeli creati
anzi che l'altro mondo fosse fatto;

ma questo vero e` scritto in molti lati

da li scrittor de lo Spirito Santo,
e tu te n'avvedrai se bene agguati;

e
anche la ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che ' motori sanza sua perfezion fosser cotanto.

Or sai tu dove e quando questi amori

furon creati e come: si` che spenti
nel tuo disio gia` son tre ardori.

Ne' giugneriesi, numerando, al venti

si` tosto, come de li angeli parte
turbo` il suggetto d'i vostri alementi.

L'altra rimase, e comincio` quest'arte

che tu discerni, con tanto diletto,
che mai da circuir non si diparte.

Principio del cader fu il maladetto

superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto.

Quelli che vedi qui furon modesti

a riconoscer se' da la bontate
che li avea fatti a tanto intender presti:

per che le viste lor furo essaltate

con grazia illuminante e con lor merto, si c'hanno ferma e piena volontate;

e
non voglio che dubbi, ma sia certo,
che ricever la grazia e` meritorio secondo che l'affetto l'e` aperto.

Omai dintorno a questo consistorio

puoi contemplare assai, se le parole
mie son ricolte, sanz'altro aiutorio.

Ma perche' 'n terra per le vostre scole

si legge che l'angelica natura
e` tal, che 'ntende e si ricorda e vole,

ancor diro`, perche' tu veggi pura

la verita` che la` giu` si confonde,
equivocando in si` fatta lettura.

Queste sustanze, poi che fur gioconde

de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde:

pero` non hanno vedere interciso

da novo obietto, e pero` non bisogna
rememorar per concetto diviso;

si` che la` giu`, non dormendo, si sogna,

credendo e non credendo dicer vero;
ma ne l'uno e` piu` colpa e piu` vergogna.

Voi non andate giu` per un sentiero

filosofando: tanto vi trasporta
l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero!

E
ancor questo qua su` si comporta
con men disdegno che quando e` posposta la divina Scrittura o quando e` torta.

Non vi si pensa quanto sangue costa

seminarla nel mondo e quanto piace
chi umilmente con essa s'accosta.

Per apparer ciascun s'ingegna e face

sue invenzioni; e quelle son trascorse da' predicanti e 'l Vangelio si tace.

Un dice che la luna si ritorse

ne la passion di Cristo e s'interpuose, per che 'l lume del sol giu` non si porse;

e
mente, che' la luce si nascose
da se': pero` a li Spani e a l'Indi come a' Giudei tale eclissi rispuose.

Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi

quante si` fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi;

si` che le pecorelle, che non sanno,

tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno.

Non disse Cristo al suo primo convento:

'Andate, e predicate al mondo ciance'; ma diede lor verace fondamento;

e
quel tanto sono` ne le sue guance,
si` ch'a pugnar per accender la fede de l'Evangelio fero scudo e lance.

Ora si va con motti e con iscede

a predicare, e pur che ben si rida,
gonfia il cappuccio e piu` non si richiede.

Ma tale uccel nel becchetto s'annida,

che se 'l vulgo il vedesse, vederebbe
la perdonanza di ch'el si confida;

per cui tanta stoltezza in terra crebbe,

che, sanza prova d'alcun testimonio,
ad ogne promession si correrebbe.

Di questo ingrassa il porco sant'Antonio,

e altri assai che sono ancor piu` porci, pagando di moneta sanza conio.

Ma perche' siam digressi assai, ritorci

li occhi oramai verso la dritta strada, si` che la via col tempo si raccorci.

Questa natura si` oltre s'ingrada

in numero, che mai non fu loquela
ne' concetto mortal che tanto vada;

e
se tu guardi quel che si revela
per Daniel, vedrai che 'n sue migliaia determinato numero si cela.

La prima luce, che tutta la raia,

per tanti modi in essa si recepe,
quanti son li splendori a chi s'appaia.

Onde, pero` che a l'atto che concepe

segue l'affetto, d'amar la dolcezza
diversamente in essa ferve e tepe.

Vedi l'eccelso omai e la larghezza

de l'etterno valor, poscia che tanti
speculi fatti s'ha in che si spezza,

uno manendo in se' come davanti>>.


Paradiso: Canto XXX


Forse semilia miglia di lontano

ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
china gia` l'ombra quasi al letto piano,

quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,

comincia a farsi tal, ch'alcuna stella perde il parere infino a questo fondo;

e
come vien la chiarissima ancella
del sol piu` oltre, cosi` 'l ciel si chiude di vista in vista infino a la piu` bella.

Non altrimenti il triunfo che lude

sempre dintorno al punto che mi vinse, parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude,

a
poco a poco al mio veder si stinse:
per che tornar con li occhi a Beatrice nulla vedere e amor mi costrinse.

Se quanto infino a qui di lei si dice

fosse conchiuso tutto in una loda,
poca sarebbe a fornir questa vice.

La bellezza ch'io vidi si trasmoda

non pur di la` da noi, ma certo io credo che solo il suo fattor tutta la goda.

Da questo passo vinto mi concedo

piu` che gia` mai da punto di suo tema soprato fosse comico o tragedo:

che', come sole in viso che piu` trema,

cosi` lo rimembrar del dolce riso
la mente mia da me medesmo scema.

Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso

in questa vita, infino a questa vista, non m'e` il seguire al mio cantar preciso;

ma or convien che mio seguir desista

piu` dietro a sua bellezza, poetando,
come a l'ultimo suo ciascuno artista.

Cotal qual io lascio a maggior bando

che quel de la mia tuba, che deduce
l'ardua sua matera terminando,

con atto e voce di spedito duce

ricomincio`: <<Noi siamo usciti fore del maggior corpo al ciel ch'e` pura luce:

luce intellettual, piena d'amore;

amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore.

Qui vederai l'una e l'altra milizia

di paradiso, e l'una in quelli aspetti che tu vedrai a l'ultima giustizia>>.

Come subito lampo che discetti

li spiriti visivi, si` che priva
da l'atto l'occhio di piu` forti obietti,

cosi` mi circunfulse luce viva,

e lasciommi fasciato di tal velo
del suo fulgor, che nulla m'appariva.

<<Sempre l'amor che queta questo cielo

accoglie in se' con si` fatta salute,
per far disposto a sua fiamma il candelo>>.

Non fur piu` tosto dentro a me venute

queste parole brievi, ch'io compresi
me sormontar di sopr'a mia virtute;

e
di novella vista mi raccesi
tale, che nulla luce e` tanto mera, che li occhi miei non si fosser difesi;
e
vidi lume in forma di rivera
fulvido di fulgore, intra due rive dipinte di mirabil primavera.

Di tal fiumana uscian faville vive,

e d'ogne parte si mettien ne' fiori,
quasi rubin che oro circunscrive;

poi, come inebriate da li odori,

riprofondavan se' nel miro gurge;
e s'una intrava, un'altra n'uscia fori.

<<L'alto disio che mo t'infiamma e urge,

d'aver notizia di cio` che tu vei,
tanto mi piace piu` quanto piu` turge;

ma di quest'acqua convien che tu bei

prima che tanta sete in te si sazi>>: cosi` mi disse il sol de li occhi miei.

Anche soggiunse
<<Il fiume e li topazi ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe son di lor vero umbriferi prefazi.

Non che da se' sian queste cose acerbe;

ma e` difetto da la parte tua,
che non hai viste ancor tanto superbe>>.

Non e` fantin che si` subito rua

col volto verso il latte, se si svegli molto tardato da l'usanza sua,

come fec'io, per far migliori spegli

ancor de li occhi, chinandomi a l'onda che si deriva perche' vi s'immegli;

e
si` come di lei bevve la gronda
de le palpebre mie, cosi` mi parve di sua lunghezza divenuta tonda.

Poi, come gente stata sotto larve,

che pare altro che prima, se si sveste la sembianza non sua in che disparve,

cosi` mi si cambiaro in maggior feste

li fiori e le faville, si` ch'io vidi
ambo le corti del ciel manifeste.

O
isplendor di Dio, per cu' io vidi
l'alto triunfo del regno verace, dammi virtu` a dir com'io il vidi!

Lume e` la` su` che visibile face

lo creatore a quella creatura
che solo in lui vedere ha la sua pace.

E' si distende in circular figura,

in tanto che la sua circunferenza
sarebbe al sol troppo larga cintura.

Fassi di raggio tutta sua parvenza

reflesso al sommo del mobile primo,
che prende quindi vivere e potenza.

E
come clivo in acqua di suo imo
si specchia, quasi per vedersi addorno, quando e` nel verde e ne' fioretti opimo,

si`, soprastando al lume intorno intorno,

vidi specchiarsi in piu` di mille soglie quanto di noi la` su` fatto ha ritorno.

E
se l'infimo grado in se' raccoglie
si` grande lume, quanta e` la larghezza di questa rosa ne l'estreme foglie!

La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza

non si smarriva, ma tutto prendeva
il quanto e 'l quale di quella allegrezza.

Presso e lontano, li`, ne' pon ne' leva:

che' dove Dio sanza mezzo governa,
la legge natural nulla rileva.

Nel giallo de la rosa sempiterna,

che si digrada e dilata e redole
odor di lode al sol che sempre verna,

qual e` colui che tace e dicer vole,

mi trasse Beatrice, e disse: <<Mira quanto e` 'l convento de le bianche stole!

Vedi nostra citta` quant'ella gira;

vedi li nostri scanni si` ripieni,
che poca gente piu` ci si disira.

E
'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni per la corona che gia` v'e` su` posta, prima che tu a queste nozze ceni,

sedera` l'alma, che fia giu` agosta,

de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia verra` in prima ch'ella sia disposta.

La cieca cupidigia che v'ammalia

simili fatti v'ha al fantolino
che muor per fame e caccia via la balia.

E
fia prefetto nel foro divino
allora tal, che palese e coverto non andera` con lui per un cammino.

Ma poco poi sara` da Dio sofferto

nel santo officio; ch'el sara` detruso la` dove Simon mago e` per suo merto,

e fara` quel d'Alagna intrar piu` giuso>>.


Paradiso: Canto XXXI


In forma dunque di candida rosa

mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa;

ma l'altra, che volando vede e canta

la gloria di colui che la 'nnamora
e la bonta` che la fece cotanta,

si` come schiera d'ape, che s'infiora

una fiata e una si ritorna
la` dove suo laboro s'insapora,

nel gran fior discendeva che s'addorna

di tante foglie, e quindi risaliva
la` dove 'l suo amor sempre soggiorna.

Le facce tutte avean di fiamma viva,

e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco, che nulla neve a quel termine arriva.

Quando scendean nel fior, di banco in banco

porgevan de la pace e de l'ardore
ch'elli acquistavan ventilando il fianco.

Ne' l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore

di tanta moltitudine volante
impediva la vista e lo splendore:

che' la luce divina e` penetrante

per l'universo secondo ch'e` degno,
si` che nulla le puote essere ostante.

Questo sicuro e gaudioso regno,

frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno.

O
trina luce, che 'n unica stella
scintillando a lor vista, si` li appaga! guarda qua giuso a la nostra procella!

Se i barbari, venendo da tal plaga

che ciascun giorno d'Elice si cuopra,
rotante col suo figlio ond'ella e` vaga,

veggendo Roma e l'ardua sua opra,

stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali ando` di sopra;

io, che al divino da l'umano,

a l'etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano

di che stupor dovea esser compiuto!

Certo tra esso e 'l gaudio mi facea
libito non udire e starmi muto.

E
quasi peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando, e spera gia` ridir com'ello stea,

su per la viva luce passeggiando,

menava io li occhi per li gradi,
mo su`, mo giu` e mo recirculando.

Vedea visi a carita` suadi,

d'altrui lume fregiati e di suo riso,
e atti ornati di tutte onestadi.

La forma general di paradiso

gia` tutta mio sguardo avea compresa,
in nulla parte ancor fermato fiso;

e
volgeami con voglia riaccesa
per domandar la mia donna di cose di che la mente mia era sospesa.

Uno intendea, e altro mi rispuose:

credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti gloriose.

Diffuso era per li occhi e per le gene

di benigna letizia, in atto pio
quale a tenero padre si convene.

E
<<Ov'e` ella?>>, subito diss'io. Ond'elli: <<A terminar lo tuo disiro mosse Beatrice me del loco mio;
e
se riguardi su` nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai nel trono che suoi merti le sortiro>>.

Sanza risponder, li occhi su` levai,

e vidi lei che si facea corona
reflettendo da se' li etterni rai.

Da quella region che piu` su` tona

occhio mortale alcun tanto non dista,
qualunque in mare piu` giu` s'abbandona,

quanto li` da Beatrice la mia vista;

ma nulla mi facea, che' sua effige
non discendea a me per mezzo mista.

<<O donna in cui la mia speranza vige,

e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,

di tante cose quant'i' ho vedute,

dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.

Tu m'hai di servo tratto a libertate

per tutte quelle vie, per tutt'i modi
che di cio` fare avei la potestate.

La tua magnificenza in me custodi,

si` che l'anima mia, che fatt'hai sana, piacente a te dal corpo si disnodi>>.

Cosi` orai; e quella, si` lontana

come parea, sorrise e riguardommi;
poi si torno` a l'etterna fontana.

E
'l santo sene: <<Accio` che tu assommi perfettamente>>, disse, <<il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi,

vola con li occhi per questo giardino;

che' veder lui t'acconcera` lo sguardo piu` al montar per lo raggio divino.

E
la regina del cielo, ond'io ardo
tutto d'amor, ne fara` ogne grazia, pero` ch'i' sono il suo fedel Bernardo>>.

Qual e` colui che forse di Croazia

viene a veder la Veronica nostra,
che per l'antica fame non sen sazia,

ma dice nel pensier, fin che si mostra:

'Segnor mio Iesu` Cristo, Dio verace,
or fu si` fatta la sembianza vostra?';

tal era io mirando la vivace

carita` di colui che 'n questo mondo,
contemplando, gusto` di quella pace.

<<Figliuol di grazia, quest'esser giocondo>>,

comincio` elli, <<non ti sara` noto, tenendo li occhi pur qua giu` al fondo;

ma guarda i cerchi infino al piu` remoto,

tanto che veggi seder la regina
cui questo regno e` suddito e devoto>>.

Io levai li occhi; e come da mattina

la parte oriental de l'orizzonte
soverchia quella dove 'l sol declina,

cosi`, quasi di valle andando a monte

con li occhi, vidi parte ne lo stremo
vincer di lume tutta l'altra fronte.

E
come quivi ove s'aspetta il temo
che mal guido` Fetonte, piu` s'infiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo,

cosi` quella pacifica oriafiamma

nel mezzo s'avvivava, e d'ogne parte
per igual modo allentava la fiamma;

e
a quel mezzo, con le penne sparte,
vid'io piu` di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d'arte.

Vidi a lor giochi quivi e a lor canti

ridere una bellezza, che letizia
era ne li occhi a tutti li altri santi;

e
s'io avessi in dir tanta divizia
quanta ad imaginar, non ardirei lo minimo tentar di sua delizia.

Bernardo, come vide li occhi miei

nel caldo suo caler fissi e attenti,
li suoi con tanto affetto volse a lei,

che ' miei di rimirar fe' piu` ardenti.


Paradiso: Canto XXXII


Affetto al suo piacer, quel contemplante

libero officio di dottore assunse,
e comincio` queste parole sante:

<<La piaga che Maria richiuse e unse,

quella ch'e` tanto bella da' suoi piedi e` colei che l'aperse e che la punse.

Ne l'ordine che fanno i terzi sedi,

siede Rachel di sotto da costei
con Beatrice, si` come tu vedi.

Sarra e Rebecca, Iudit e colei

che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse 'Miserere mei',

puoi tu veder cosi` di soglia in soglia

giu` digradar, com'io ch'a proprio nome vo per la rosa giu` di foglia in foglia.

E
dal settimo grado in giu`, si` come
infino ad esso, succedono Ebree, dirimendo del fior tutte le chiome;

perche', secondo lo sguardo che fee

la fede in Cristo, queste sono il muro a che si parton le sacre scalee.

Da questa parte onde 'l fiore e` maturo

di tutte le sue foglie, sono assisi
quei che credettero in Cristo venturo;

da l'altra parte onde sono intercisi

di voti i semicirculi, si stanno
quei ch'a Cristo venuto ebber li visi.

E
come quinci il glorioso scanno
de la donna del cielo e li altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno,

cosi` di contra quel del gran Giovanni,

che sempre santo 'l diserto e 'l martiro sofferse, e poi l'inferno da due anni;

e
sotto lui cosi` cerner sortiro
Francesco, Benedetto e Augustino e altri fin qua giu` di giro in giro.

Or mira l'alto proveder divino:

che' l'uno e l'altro aspetto de la fede igualmente empiera` questo giardino.

E
sappi che dal grado in giu` che fiede
a mezzo il tratto le due discrezioni, per nullo proprio merito si siede,

ma per l'altrui, con certe condizioni:

che' tutti questi son spiriti ascolti
prima ch'avesser vere elezioni.

Ben te ne puoi accorger per li volti

e anche per le voci puerili,
se tu li guardi bene e se li ascolti.

Or dubbi tu e dubitando sili;

ma io disciogliero` 'l forte legame
in che ti stringon li pensier sottili.

Dentro a l'ampiezza di questo reame

casual punto non puote aver sito,
se non come tristizia o sete o fame:

che' per etterna legge e` stabilito

quantunque vedi, si` che giustamente
ci si risponde da l'anello al dito;

e
pero` questa festinata gente
a vera vita non e` sine causa intra se' qui piu` e meno eccellente.

Lo rege per cui questo regno pausa

in tanto amore e in tanto diletto,
che nulla volonta` e` di piu` ausa,

le menti tutte nel suo lieto aspetto

creando, a suo piacer di grazia dota
diversamente; e qui basti l'effetto.

E
cio` espresso e chiaro vi si nota
ne la Scrittura santa in quei gemelli che ne la madre ebber l'ira commota.

Pero`, secondo il color d'i capelli,

di cotal grazia l'altissimo lume
degnamente convien che s'incappelli.

Dunque, sanza merce' di lor costume,

locati son per gradi differenti,
sol differendo nel primiero acume.

Bastavasi ne' secoli recenti

con l'innocenza, per aver salute,
solamente la fede d'i parenti;

poi che le prime etadi fuor compiute,

convenne ai maschi a l'innocenti penne per circuncidere acquistar virtute;

ma poi che 'l tempo de la grazia venne,

sanza battesmo perfetto di Cristo
tale innocenza la` giu` si ritenne.

Riguarda omai ne la faccia che a Cristo

piu` si somiglia, che' la sua chiarezza sola ti puo` disporre a veder Cristo>>.

Io vidi sopra lei tanta allegrezza

piover, portata ne le menti sante
create a trasvolar per quella altezza,

che quantunque io avea visto davante,

di tanta ammirazion non mi sospese,
ne' mi mostro` di Dio tanto sembiante;

e
quello amor che primo li` discese,
cantando 'Ave, Maria, gratia plena', dinanzi a lei le sue ali distese.

Rispuose a la divina cantilena

da tutte parti la beata corte,
si` ch'ogne vista sen fe' piu` serena.

<<O santo padre, che per me comporte

l'esser qua giu`, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte,

qual e` quell'angel che con tanto gioco

guarda ne li occhi la nostra regina,
innamorato si` che par di foco?>>.

Cosi` ricorsi ancora a la dottrina

di colui ch'abbelliva di Maria,
come del sole stella mattutina.

Ed elli a me
<<Baldezza e leggiadria quant'esser puote in angelo e in alma, tutta e` in lui; e si` volem che sia,

perch'elli e` quelli che porto` la palma

giuso a Maria, quando 'l Figliuol di Dio carcar si volse de la nostra salma.

Ma vieni omai con li occhi si` com'io

andro` parlando, e nota i gran patrici di questo imperio giustissimo e pio.

Quei due che seggon la` su` piu` felici

per esser propinquissimi ad Augusta,
son d'esta rosa quasi due radici:

colui che da sinistra le s'aggiusta

e` il padre per lo cui ardito gusto
l'umana specie tanto amaro gusta;

dal destro vedi quel padre vetusto

di Santa Chiesa a cui Cristo le clavi
raccomando` di questo fior venusto.

E
quei che vide tutti i tempi gravi,
pria che morisse, de la bella sposa che s'acquisto` con la lancia e coi clavi,

siede lungh'esso, e lungo l'altro posa

quel duca sotto cui visse di manna
la gente ingrata, mobile e retrosa.

Di contr'a Pietro vedi sedere Anna,

tanto contenta di mirar sua figlia,
che non move occhio per cantare osanna;

e
contro al maggior padre di famiglia
siede Lucia, che mosse la tua donna, quando chinavi, a rovinar, le ciglia.

Ma perche' 'l tempo fugge che t'assonna,

qui farem punto, come buon sartore
che com'elli ha del panno fa la gonna;

e
drizzeremo li occhi al primo amore,
si` che, guardando verso lui, penetri quant'e` possibil per lo suo fulgore.

Veramente, ne forse tu t'arretri

movendo l'ali tue, credendo oltrarti,
orando grazia conven che s'impetri

grazia da quella che puote aiutarti;

e tu mi seguirai con l'affezione,
si` che dal dicer mio lo cor non parti>>.

E comincio` questa santa orazione:


Paradiso: Canto XXXIII


<<Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta piu` che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura

nobilitasti si`, che 'l suo fattore
non disdegno` di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore,

per lo cui caldo ne l'etterna pace
cosi` e` germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridiana face

di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,

che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz'ali.

La tua benignita` non pur soccorre

a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura e` di bontate.


Or questi, che da l'infima lacuna

de l'universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute

tanto, che possa con li occhi levarsi
piu` alto verso l'ultima salute.

E
io, che mai per mio veder non arsi
piu` ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perche' tu ogne nube li disleghi

di sua mortalita` co' prieghi tuoi,
si` che 'l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi

cio` che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:

vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!>>.

Li occhi da Dio diletti e venerati,

fissi ne l'orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati;

indi a l'etterno lume s'addrizzaro,

nel qual non si dee creder che s'invii per creatura l'occhio tanto chiaro.

E
io ch'al fine di tutt'i disii
appropinquava, si` com'io dovea, l'ardor del desiderio in me finii.

Bernardo m'accennava, e sorridea,

perch'io guardassi suso; ma io era
gia` per me stesso tal qual ei volea:

che' la mia vista, venendo sincera,

e piu` e piu` intrava per lo raggio
de l'alta luce che da se' e` vera.

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio

che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio.

Qual e` colui che sognando vede,

che dopo 'l sogno la passione impressa rimane, e l'altro a la mente non riede,

cotal son io, che' quasi tutta cessa

mia visione, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.

Cosi` la neve al sol si disigilla;

cosi` al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

O
somma luce che tanto ti levi
da' concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi,
e
fa la lingua mia tanto possente,
ch'una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente;

che', per tornare alquanto a mia memoria

e per sonare un poco in questi versi,
piu` si concepera` di tua vittoria.

Io credo, per l'acume ch'io soffersi

del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi.

E' mi ricorda ch'io fui piu` ardito

per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi l'aspetto mio col valore infinito.

Oh abbondante grazia ond'io presunsi

ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!

Nel suo profondo vidi che s'interna

legato con amore in un volume,
cio` che per l'universo si squaderna:

sustanze e accidenti e lor costume,

quasi conflati insieme, per tal modo
che cio` ch'i' dico e` un semplice lume.

La forma universal di questo nodo

credo ch'i' vidi, perche' piu` di largo, dicendo questo, mi sento ch'i' godo.

Un punto solo m'e` maggior letargo

che venticinque secoli a la 'mpresa,
che fe' Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.

Cosi` la mente mia, tutta sospesa,

mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.

A
quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto e` impossibil che mai si consenta;

pero` che 'l ben, ch'e` del volere obietto,

tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella e` defettivo cio` ch'e` li` perfetto.

Omai sara` piu` corta mia favella,

pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante che bagni ancor la lingua a la mammella.

Non perche' piu` ch'un semplice sembiante

fosse nel vivo lume ch'io mirava,
che tal e` sempre qual s'era davante;

ma per la vista che s'avvalorava

in me guardando, una sola parvenza,
mutandom'io, a me si travagliava.

Ne la profonda e chiara sussistenza

de l'alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d'una contenenza;

e
l'un da l'altro come iri da iri
parea reflesso, e 'l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri.

Oh quanto e` corto il dire e come fioco

al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi, e` tanto, che non basta a dicer 'poco'.

O
luce etterna che sola in te sidi,
sola t'intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi!

Quella circulazion che si` concetta

pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,

dentro da se', del suo colore stesso,

mi parve pinta de la nostra effige:
per che 'l mio viso in lei tutto era messo.

Qual e` 'l geometra che tutto s'affige

per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond'elli indige,

tal era io a quella vista nova:

veder voleva come si convenne
l'imago al cerchio e come vi s'indova;

ma non eran da cio` le proprie penne:

se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.

A
l'alta fantasia qui manco` possa;
ma gia` volgeva il mio disio e 'l velle, si` come rota ch'igualmente e` mossa,

l'amor che move il sole e l'altre stelle.





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